Come sapete, Habemus Papam: si tratta di Robert Francis Prevost, il nuovo Pontefice, come annunciato alcuni giorni fa con la sua epifania, sancita dalla classica fumata bianca apparsa in Piazza San Pietro. Naturalmente, è ancora troppo presto per formulare riflessioni articolate sulla figura e sul ruolo del nuovo Papa. Tuttavia, possiamo provare ad avanzare alcune considerazioni, per ora di carattere prevalentemente congetturale.
Non può passare inosservata la nazionalità del nuovo Papa, che ha scelto il nome di Leone XIV: egli è statunitense. In un mondo sempre più americanocentrico, anche il Vaticano sembra adeguarsi a questa tendenza. Siamo di fronte al primo Papa “a stelle e strisce” della storia. Un evidente segno dei tempi, che suggerisce una progressiva americanizzazione anche della Chiesa di Roma. Un’altra osservazione importante riguarda la profonda vicinanza ideologica tra Prevost e Papa Bergoglio: al punto che non sarebbe errato definirlo quasi un “Bergoglio II”. Prevost non era semplicemente vicino a Francesco: ne ha fatto propri alcuni tratti fondanti della sua religiosità liquida e smart.
Prevost si mostra particolarmente sensibile ai temi della migrazione e del cambiamento climatico, due pilastri del pontificato di Bergoglio, caratterizzato da un’apertura verso il mondo (mundus) e una chiusura verso la trascendenza. Ricordiamo anche come, nell’estate del 2021, Prevost abbia adottato le parole di Francesco in merito alle benedizioni di massa con il “Santissimo Siero” (vaccinazioni), definendole un “atto d’amore” e invitando i fedeli a sottoporsi in massa a tale gesto. Ci si può chiedere, dunque, se non ci sia stata in realtà una “fumata arcobaleno” in Vaticano. Prevost proseguirà nel progetto di evaporazione del cristianesimo già avviato da Bergoglio? La sua sarà anch’essa una religione del nulla, focalizzata sulla gestione del mondo in chiave liberal-progressista, più che sul rapporto con il divino? È ancora presto per dirlo, ma non si possono ignorare i segnali.
Non dobbiamo però rinunciare alla speranza. Auspichiamo che Leone XIV segua una strada diversa, riportando al centro il sacro e la trascendenza, come fece coraggiosamente Benedetto XVI (Ratzinger). Prevost è un agostiniano, e questo rappresenta un punto a suo favore. Sarebbe auspicabile che ponesse al centro del proprio magistero la lezione di Agostino d’Ippona: un cristianesimo platonico, radicato nella filosofia classica e nel dialogo tra fede e ragione, come seppe fare lo stesso Ratzinger. Anche il nome scelto ha un valore simbolico: Leone, come spiegato da Prevost, “non parla con i lupi, li caccia”. È un’affermazione enigmatica, ma suggestiva. Combatterà davvero i lupi del nichilismo contemporaneo? Infine, si pone una questione delicata: se, come sostenuto nel libro La fine del cristianesimo, Bergoglio non fosse stato realmente Papa, allora la sua scelta dei cardinali — che hanno poi contribuito a eleggere Prevost — risulterebbe non valida. Qual è, dunque, il vero statuto del nuovo Pontefice?
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