C’era il sole, quel giorno. Un sabato di primavera che in un istante diventò eterno. Alle 17:58, lungo l’autostrada A29, la terra si aprì sotto le ruote di un corteo blindato. Cinquecento chili di tritolo esplosero, lanciando in aria asfalto, lamiere, e con essi la speranza di un’Italia migliore. In quell’attimo furono uccisi il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Non era solo un attentato. Era un messaggio.
Giovanni Falcone era molto più di un giudice, era un visionario con i piedi per terra. Convinto che la mafia potesse essere sconfitta non con proclami, ma con lavoro, collaborazione tra istituzioni e una giustizia lenta ma inesorabile. Un anno prima della sua morte, in un’intervista televisiva alla Rai, aveva parlato apertamente: la mafia, diceva, non è imbattibile. Ma richiede coraggio, intelligenza e soprattutto l’impegno di tutti, ogni giorno. Una delle sue frasi più celebri cita “Gli uomini passano, le idee restano”. E così è stato.
Oggi, a 33 anni da quel giorno, la memoria di Falcone è viva come non mai. Migliaia di giovani ogni anno partecipano alla Nave della Legalità, che approda a Palermo per ricordare, ma soprattutto per capire. Le scuole italiane, da nord a sud, insegnano chi era e cosa ha fatto. E davanti all’Albero Falcone, piantato sotto casa sua in via Notarbartolo, le lettere dei bambini si intrecciano ai fiori e ai nastri.
Il 23 maggio non è soltanto un giorno da ricordare: è un invito ad agire, oggi. È una data che ci ricorda quanto la democrazia possa essere fragile se lasciata sola, e quanto invece diventi forte quando la custodiamo insieme, con responsabilità e coraggio. Lo ha espresso con toccante lucidità Tina Montinaro (vedova del caposcorta Antonio): “Non possiamo permettere che muoiano due volte. Il modo migliore per onorarli è vivere ogni giorno con dignità, facendo anche solo una scelta giusta alla volta”.
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