La cosa più spiacevole, questa mattina, è stata leggere alcuni articoli contro Trump. Per carità, ognuno è libero di esprimere critiche, e ci sono buone ragioni per farlo, ad esempio, la questione dei dazi, che da liberale non posso certo apprezzare. Tuttavia, alcuni articoli sembravano scritti prima ancora che Trump parlasse. Nel suo discorso di ieri, il presidente ha insistito sul principio di reciprocità: “Quello che fanno gli altri, lo facciamo anche noi. Anzi, facciamo persino di meno”, ha detto. Quindi la reazione corretta non dovrebbe essere una crisi isterica.
E invece, questa mattina, da Samarcanda – sì, proprio quella della canzone di Vecchioni, dove il protagonista incontra la morte – noi non abbiamo incontrato la morte, ma Ursula von der Leyen, pettinatissima, che ha dichiarato: “Reagiremo!” Ma reagiremo a cosa? Ferma, ragiona. Trump ha semplicemente detto: “Tu hai imposto una serie di dazi a me? Bene, allora io li impongo a te, ma in misura minore.” Tra persone normali, la reazione dovrebbe essere un ragionamento di buon senso: “D’accordo, noi europei eliminiamo i dazi sul whisky americano e tu non imponi quelli sul nostro vino.” E così via per tutte le altre materie. Invece, sembra che si voglia trasformare questa situazione in una gara a chi mostra i muscoli di più e francamente, vedere von der Leyen che “flette il bicipite” non è un grande spettacolo.
Dal punto di vista tecnico, poi, gli americani non si lamentano solo delle barriere tariffarie imposte dagli altri Paesi, come nel nostro caso, dall’Unione Europea, ma anche delle cosiddette barriere non tariffarie: tutta quella serie di regolamentazioni che complicano la vita alle imprese. L’Unione Europea dovrebbe smantellarle, se non altro nel nostro stesso interesse, ma anche per facilitare i rapporti con gli Stati Uniti. Questo è un problema che, ad esempio, il Regno Unito non ha. Ecco perché non mi ha sorpreso il trattamento di favore che Trump ha riservato a Londra: può piacere o meno, ma si spiega benissimo.
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