“Meglio perdere che vincere senza dignità”. Viviamo in un mondo ossessionato dal successo. La società moderna celebra i vincenti, spinge alla competizione sfrenata e misura il valore umano in base ai traguardi raggiunti. Pier Paolo Pasolini, con la sua voce controcorrente, ci offre una visione radicalmente diversa: un elogio della sconfitta come antidoto alla disumanizzazione. “Io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con metodi sleali e spietati”, scriveva lo scrittore corsaro, ribadendo il valore etico del fallimento.
Pasolini non esaltava la sconfitta per romanticismo, ma per denunciare una società che riduce l’uomo a merce.
Nella sua critica al consumismo, vedeva una “competitività infinita” che aliena e svuota spiritualmente l’individuo. La vittoria, spesso ottenuta a scapito degli altri, diventa simbolo di una logica capitalistica che premia l’avidità e l’omologazione, mentre la sconfitta – vissuta con dignità – preserva la libertà interiore e i valori autentici.
In un’epoca dominata dai social media e dal mito del “vincente”, Pasolini ci invita a riflettere sull’insostenibilità di questa corsa continua. La competitività estrema non conduce al progresso umano, ma a una regressione morale e culturale. La vera forza sta nell’accettare il fallimento come momento di crescita personale, lontano dall’illusione di una perfezione imposta.
Cos’è l’elogio della sconfitta? Sentite cosa ci hanno risposto il filosofo Diego Fusaro e il docente di comunicazione sociale Alberto Contri | Un Giorno Speciale, 12 febbraio 2025
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