La politica è un gioco semplice, tanto da riuscire a spiegarla con solo una sedia.
O forse è solo Giorgio Gaber che riesce a renderla più comprensibile del solito. E lo fa, come solito, tramite una geniale e sottile satira.
La sedia “democratica” può essere fatta di diverso materiale, ma la funzione è la stessa: far sedere qualcuno.
“E chi non ce l’ha?“, “Chi non ce l’ha sta in piedi!“. Il risultato è che “la sedia opera nell’umanità una piccola divisione“.
Si ripropone inevitabilmente il classicissimo ma non scontato tema della lotta di classe. Guai però a confondere la lotta intraclasse da quella interclasse, per cui la vera differenza è la direzione della contraddizione: dall’alto al basso, oppure dalla sinistra alla destra (non per forza da intendersi in termini di partito). Gaber esplica la prima in uno sketch senza tempo tutto da ascoltare.
“Ma chi ha la sedia è gentile e la cede a chi è in piedi?“: l’espressione volutamente ingenua che accompagna la quaestio crea contrasto ironico con la auto-risposta. “No! Chi ha la sedia se la tiene e si sta comodamente seduto. Ma allora cosa si rappresenta il ‘prego s’accomodi’? Il prego s’accomodi è un modo di dire signorile, democratico, che fa notare le differenze, ma con gentilezza. Meglio sarebbe dire: <<Prego stia pure in piedi!>>. Ugualmente gentile, però più vero“.
Il colpo di coda finale è da applausi spontanei. “La sedia clientelare comincia a scricchiolare. La gente lo sente, la gente l’ha capito, la gente è insoddisfatta e…la gente la lascia scricchiolare!“.
L’interpretazione de La Sedia (1972) di Giorgio Gaber.
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