Il redditometro, uno strumento fiscale pensato per rilevare i cosiddetti redditi non dichiarati, ha avuto un impatto limitato. Nel 2011, con più di 36mila accertamenti e incassato 188 milioni di euro, ma nel 2022 si è ridotto a 352 casi con un incasso di soli 300mila euro. La Corte dei Conti aveva già evidenziato nel 2015 la discrepanza tra gli obiettivi dell’incasso, che erano previsti fra i 700 e gli 800 milioni di euro, e i risultati effettivi, che invece erano stati di molto inferiori. Le modifiche del 2010 originariamente miravano a ridurre l’arbitrarietà del fisco, quindi sarebbero state delle modifiche a favore del contribuente, ma dal 2014 in poi accertamenti e incassi sono calati nonostante il decreto ministeriale del 2015. Il governo Lega -Cinque stelle del 2018 ridusse ulteriormente l’efficacia del redditometro abrogando il decreto Renzi e lasciando la norma in gran parte inattiva. Nel 2019 il redditometro produsse solo 4,9 milioni di euro da 1850 accertamenti mentre altri metodi hanno generato 5,9 miliardi da 267mila accertamenti.
Il viceministro onorevole Maurizio Leo sostiene la necessità di un decreto per regolare il redditometro, ma con l’accesso ai conti correnti, la tracciabilità delle spese, in realtà il fisco non ha più bisogno di presunzioni induttive. Il redditometro appare quindi obsoleto e la sua abolizione sembra ormai il passo successivo per rispettare un principio sacro del diritto è quello dell’onore della prova. L’onore della prova spetta allo Stato, non al contribuente.
Io ho a che fare con persone che ormai si sentono vessate soprattutto dall’Unione Europea indirettamente dallo Stato italiano, sempre più famelici di risorse da dirottare su altre questioni, il green, altre tematiche ritenute più rilevanti che produrre reddito, creare posti di lavoro. Io non sono d’accordo, credo che bisogna ritornare ad avere equilibrio e si debba capire che lo Stato deve essere amico del cittadino e non suo nemico.
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