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La morte in sordina di Toni Negri è l’ennesima prova della corruzione del giornalismo contemporaneo

È purtroppo morto in questi giorni il filosofo padovano Toni Negri, uno dei grandi interpreti del nostro tempo, un pensatore ormai noto a livello mondiale. Dirò di più, uno dei filosofi italiani più recenti che hanno conosciuto la massima celebrità a livello planetario. Ovviamente i giornali nazionali hanno decisamente trascurato la notizia e quando l’hanno data si sono limitati frettolosamente, e dirò di più vergognosamente, a liquidare Toni Negri come un cattivo maestro del Novecento.
Ciò in ragione della vicenda giudiziaria di Toni Negri, che venne a suo tempo condannato e accusato come ideologo delle Brigate Rosse. Non vi è traccia sui giornali del pensiero di Toni Negri, del suo contributo alla filosofia, della sua interpretazione originale del marxismo e del mondo contemporaneo. Personalmente non condivido quasi nulla del modo particolare di Toni Negri di interpretare il marxismo e la globalizzazione.
Però egli merita comunque di essere ricordato, studiato e in questi giorni anche pianto per la sua scomparsa. Non condivido di Toni Negri l’interpretazione di Marx, che egli legge disgiungendolo da Hegel e riportandolo in un paradigma che genericamente dirò vicino a Foucault, Deleuze e al pensiero francese della differenza. e non condivido il pensiero di Tony Negri anche in relazione alla sua lettura particolare della globalizzazione, soprattutto a partire da un testo, Impero, uscito nei primi anni del nuovo millennio e destinato a diventare famoso a livello mondiale.

Anzi, la celebrità di Toni Negri è legata soprattutto al testo Impero, scritto a quattro mani con Michael Hardt. In questo testo, come è noto, Toni Negri dà un’interpretazione originale e, a mio giudizio, anche criticabile della globalizzazione. In particolare, Toni Negri rilegge la globalizzazione abbandonando completamente la benemerita categoria leniniana di lotta all’imperialismo.
Anzi, a rigore, Toni Negri in Impero dice apertamente che l’imperialismo oggi non esiste più, e che anzi ogni residuale forza dello stato sovrano nazionale è in quanto tale da superare a vantaggio della globalizzazione. Ecco, già in questo mi pare che ci sia la necessità di criticare il pensiero di Toni Negri. Intanto perché l’imperialismo continua a essere presente come la storia ci insegna.
E poi perché lo Stato sovrano nazionale, lungi dall’essere un rigurgito del nazionalismo fascistoide del Novecento, oggi incarna, ove ancora esista, la possibile resistenza democratica e magari anche socialista alla globalizzazione tecnocratica, autoritaria e oligarchica del capitale. Peraltro con questa svalutazione dello stato sovrano nazionale che si accompagna in toni negri alla celebrazione della globalizzazione, benché egli ne critichi il capitalismo intrinseco, il nostro autore finisce per riproporre, sia pure diversamente, per così dire, da sinistra, la stessa posizione della globalizzazione neoliberale, sia pure in tinta rossa. Le tesi di Toni Negri sul one world senza confini potrebbero essere idealmente sottoscritte anche da Mario Draghi o da Mario Monti.

Non condivido nemmeno di Toni Negri l’abbandono che egli fa del proletariato come soggettività rivoluzionaria a beneficio della non meglio definita moltitudine, ciò che comporta il paradosso di un comunismo non più basato su una soggettività rivoluzionaria precisa, ma sull’autodefinizione individuale che ciascuno potrà dare di sé quando si riterrà parte della fantomatica moltitudine. La stessa antropologia elaborata da Toni Negri non ha nulla a che vedere con quella di Marx ed è invece basata, di fatto, sulla teoria delusiana della macchina desiderante, ciò che risulta, peraltro, massimamente compatibile con l’antropologia capitalistica dei desideri del libero consumo e del libero costume. Insomma, condivido ben poco del discorso di Toni Negri, ma ritengo una pura aberrazione liquidarlo semplicemente come cattivo maestro. L’ennesima prova, mi permetto di dire, della corruzione e dello scadimento del dibattito giornalistico contemporaneo

Diego Fusaro

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