Da una parte l’UE, dall’altra privati cittadini; da una parte il Digital Service Act, dall’altra la Westminster Declaration. Giusto la scorsa settimana, nella vicenda che ha coinvolto Elon Musk e Thierry Breton, abbiamo scorto quale sarà lo scontro del futuro: quella della libertà di parola sui social.
Non a costo delle castronerie e della disinformazione, ma questo chi lo decide?
Dovrebbero deciderlo i fatti, invece le istituzioni europee non ragionano così. Già, perché anziché regolamentare e limitare le continue censure dei signori della Silicon Valley con motivazioni a dir poco dispotiche mascherate a discrezione di privati, l’UE chiede a Musk di censurare di più.
“Fatemi sapere dove ho disinformato”, risponde il tycoon. “Lo sai tu”, dice Breton. Colpevole fino a prova contraria, il contrario dello Stato di diritto.
Ecco perché in oltre 100 intellettuali hanno sottoscritto un appello nel quale si chiede ai governi chiarezza e trasparenza, oltre a disincentivare i continui atteggiamenti censori che con guerre e pandemie stanno avanzando a grandi passi.
La Westminster Declaration è una vera svolta? Non lo sappiamo ancora, ma “le verità precostituite, più vengono imposte, più producono delle reazioni. Ecco perché lo scontro tra verità e bugie è destinato a radicalizzarsi“, dice lo psichiatra Alessandro Meluzzi.
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