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Parla l’ex-ministro della difesa Trenta: “Vannacci destituito perché parlò dell’uranio impoverito”

Sulla prima pagina della Verità compare un’intervista all’ex ministro della difesa Elisabetta Trenta, in merito alla questione dell’uranio impoverito risollevata dal caso Vannacci, il quale denunciò in tempi non sospetti. Decine e decine di soldati italiani, in seguito all’esposizione all’uranio presente nelle armi e nelle munizioni utilizzate dall’esercito, si sono gravemente ammalati e, in alcuni casi, hanno trasmesso malattie genetiche anche ai propri figli. La questione si è arricchita di numerose denunce negli anni di chi ne ha vissuto in prima persona gli effetti drammatici e delle più svariate autorità.

In merito al caso Vannacci l’ex ministro esprime la propria e lancia alcuni sospetti: “Vannacci non andava rimosso, così facendo ne hanno fatto un martire. Potrebbe essere possibile che gli sia costata cara la battaglia in difesa dei nostri soldati ammalati in missione”
Sulla questione uranio impoverito: “Quella delle intossicazioni da metalli pesanti è una pagina vergognosa, troppi miei predecessori hanno negato il problema. I paesi alleati hanno protetto negli anni le proprie forze armate prendendo precauzioni, l’Italia no. Ci sono state incompetenze e sottovalutazioni. Ne parlai anche a Mattarella che mi disse di proseguire, ma so che a livello politico c’era qualcuno a cui interessava non far uscire la verità. Sul tema uranio impoverito la priorità ora è quella di prendersi cura dei soldati ammalati e delle loro famiglie. Potremmo depenalizzare alcuni reati ma i responsabili hanno il dovere di chiedere scusa, sarebbe un grande atto di civiltà“.

Sulla questione organizzai un tavolo di lavoro e avanzammo una proposta di legge che si basava sull’inversione della prova. Ad oggi un militare deve dimostrare di essersi ammalato sul campo e non altrove, questo non è giusto. Volevamo tutelare la salute dei nostri soldati a tutti i costi, andò a finire che la proposta di legge non venne neanche presa in considerazione e la legislatura finì“.

Francesco Borgonovo

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