Sono dati ufficiali, dati che destano una qualche preoccupazione e che stimolano anche alla riflessione critica e rigorosamente controcorrente. Alludo ai dati relativi alla percentuale delle coste italiane che sono di fatto coincidenti con spiagge private.
Ebbene, i dati ufficiali rivelano che attualmente il 70% delle spiagge in Italia sono private e che, dunque, solo il 30% sono spiagge libere, accessibili, pubbliche.
Anche se poi in realtà in quel 30% bisogna considerare che si tratta di coste in larga parte non utilizzabili per i fini della balneazione e quindi nel 30% generale in realtà bisogna andare a vedere quale percentuale sia poi effettivamente disponibile ai cittadini italiani come spiaggia pubblica.
Insomma la massima parte della costa italiana è nelle mani dei privati e dunque è sottratta al libero utilizzo da parte del popolo italiano. Si tratta di un dato interessante dacché rivela come i processi di privatizzazione del mondo della vita, secondo il paradigma americano, stiano gradualmente conquistando anche la vecchia Europa, Italia compresa.
Il paradigma anglosassone è quello della privatizzazione integrale del mondo della vita con annessa riconfigurazione dei diritti del cittadino in merci disponibili universalmente per tutti in astratto, ma in concreto accessibili unicamente a chi possa permettersele economicamente, è tutto qui il segreto paradossale della mutazione neoliberale dei diritti in merci: i diritti spettano ad ogni cittadino, quale che sia la posizione economica, le merci sono astrattamente disponibili per tutti, ma poi in concreto sono accessibili solo sul fondamento economico del bene disponibile, cioè del danaro in grado di rendere disponibile la merca in questione.
Insomma la privatizzazione del mondo della vita, coerente con la logica illogica di sviluppo del modo capitalistico della produzione, comporta l’esclusione di tutti coloro i quali non abbiano il denaro disponibile per poter accedere a quelli che un tempo erano diritti riconosciuti e che ora divengono merci disponibili secondo il valore di scambio custodito nelle tasche di ciascuno, un mondo meno disumano sarebbe quello in cui l’ambito privato, senza essere annientato, non entrasse in conflitto con la sfera pubblica e soprattutto non risultasse egemonico rispetto ad essa, ma mi rendo conto che quando parliamo di mondo ideale entriamo già nella sfera della ingegneria utopica e dobbiamo sempre invece considerare quella che machiavelli chiamava la realtà effettuale della cosa: il triste mondo di cui siamo abitatori, un mondo che oltretutto sta producendo a piè sospinto le privatizzazioni di cui stavamo discutendo.
Insomma c’è davvero di che riflettere e forse vi sarebbero anche buone ragioni per intervenire con progetti di ripubblicizzazione di ciò che oggi è privato e di rinazionalizzazione dei nessi fondamentali della nostra economia.
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