Nei giorni scorsi appariva un surreale articolo su la Repubblica, rotocalco turbomondialista, voce del padronato cosmopolitico e punta di diamante dell’atlantismo neoimperiale.
Ebbene, l’articolo in questione era scritto a mo’ di lettera e aveva come firma quella del filosofo gallico liberale atlantista Bernard-Henri Lévy. Quest ultimo è un autore noto al pubblico italiano ed europeo, dacché fece la sua fortuna intellettualmente nel gruppo cosiddetto dei “nouveaux philosophes“, i nuovi filosofi che vennero al tempo reclamizzati, come le saponette o come i deodoranti, dall’ordine del discorso liberale, dacché servivano sostanzialmente a promuovere l’idea della Open Society liberale in funzione antitotalitaria, cioè in funzione sostanzialmente anticomunista.
L’idea di fondo promossa dai nouveaux, tra cui Bernard-Henri Lévy, era quella secondo cui il comunismo aveva prodotto un mondo totalitario analogo a quello del fascismo. E dunque bisognava ripiegare sull’unica filosofia di vita possibile: il liberalismo, che per parte sua, rispondeva celebrando questi autori e promuovendoli in stile di merci come saponette e deodoranti.
Ebbene, Bernard non ha mai smesso di svolgere una funzione prettamente ideologica nel quadro dell’ordine neoliberale.
Ed è soprattutto a questo che si deve il suo successo. Il successo che continua ad arridergli fino ai giorni nostri, ove continua a figurare come un araldo della ideologia dominante.
Ebbene, in questi giorni segnatamente nell’articolo di cui stiamo discutendo apparso su Repubblica, Bernard-Henri Lévy si rivolge accoratamente all’Africa, spiegandole, dall’alto delle vette inaccessibili della sua sapienza, che la Russia non le è amica e che dunque essa, Africa, deve guardarsi bene da Putin. A ben vedere, la lettera del filosofo gallico liberal nichilista potrebbe essere agevolmente scambiata per una barzelletta. E ciò soprattutto se si considera che la lettera si presenta come una sorta di generosa messa in guardia rivolta all’Africa da quella Francia che più di ogni altro paese è stato artefice del più efferato colonialismo a nocumento dei popoli africani in quanto tali.
Né dev’essere dimenticato che Bernard-Henri Lévy, che adesso si finge amico dell’Africa, ha sempre supportato e, anzi, trionfalmente celebrato, tutte le missioni imperialistiche della civiltà del dollaro, quelle che usavano i diritti umani come foglia di fico per nascondere la violenza barbara dell’imperialismo.
Ebbene, ora la Francia, per bocca di Bernard-Henri Lévy, si atteggia incredibilmente come amica dell’Africa, dicendo addirittura di volerla mettere in guardia dal suo vero nemico, che, secondo questa narrazione a tratti e a cavaliere tra il demenziale e il fumettistico, sarebbe la Russia, insieme con la Cina. Insomma, secondo la narrazione gallocentrica, i nemici dell’Africa sarebbero i russi e i cinesi, e invece, ovviamente, i veri amici sarebbero i francesi. Ripeto, sembra a tutti gli effetti una barzelletta.
E invece è la realtà che, come spesso accade, supera le barzellette e fa apparire peraltro anche lo stesso Orwell come un dilettante rispetto a una realtà che essa stessa è ogni giorno più orwelliana nei suoi tratti fondamentali.
Ebbene, non dimentichiamo che in realtà, con buona pace di ciò che l’ideologo neoliberale Bernard-Henri Lévy va ripetendo, la Russia e la Cina stanno provando a creare anche con l’Africa un blocco antagonistico di resistenza all’imperialismo occidentale.
E quindi l’Africa ha ben più interesse a guardare con amicizia alla Russia e alla Cina, che alla Francia, anche per le ovvie ragioni storiche già menzionate.
Ma la fabbrica delle menzogne e l’industria dell’ideologia davvero non dormono mai, è il caso di ammetterlo.
E questa lettera surreale di Bernard-Henri Lévy, pubblicata da Repubblica come se fosse cosa ovvia e giusta, è la prova ulteriore di ciò che stiamo dicendo.
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