Sei una giornalista, filmi un furto. Poi ti fermano due guardie giurate, ti chiedono i tuoi dati, ti intimano di smetterla. Nel frattempo le borseggiatrici se ne vanno a gambe levate. Ha i contorni di una specie di incubo ciò che è capitato a Serenella Bettin, reporter de La Verità e inviata di Mediaset che, fatalità, doveva girare un servizio in proposito.
E’ accaduto a Venezia, mentre la giornalista era con la sua troupe. Le borseggiatrici scappano dopo aver fatto bottino, le telecamere le inchiodano mettere a soqquadro alcuni esercizi commerciali durante la fuga, che andrà a buon fine per le ladre. Ma la beffa non è ancora servita.
“Gli agenti le hanno osservate con la coda dell’occhio nonostante urlassimo: “Borseggiatrici! Borseggiatrici!”. Alla fine le guardie hanno fermato noi perché non potevamo riprendere in stazione“. Doppia beffa. Tripla, se si considera che il girato delle telecamere verrà fatto cancellare: “Ho detto: scusi, ma le si è accorto che le sono passate due borseggiatrici dietro il sedere? Ferma noi anziché fermare loro?“
“Questo è il mio lavoro“, risponde l’agente, “se non volete che chiami la polizia dovete cancellare il girato“.
Chissà che non sia il risultato di polemiche recenti (come quelle a Milano sulla facoltà di riprendere i ladri o meno) o di leggi non esaustive.
Il tema è al centro del dibattito, in quelli televisivi vediamo perfino le borseggiatrici dare la propria versione e spiegare le proprie ragioni. Il vero tema però, in fatto di immagini e girati, sarebbe la diffusione, non la facoltà di riprendere.
Altro discorso quello delle borseggiatrici incinte, su cui pure sembra ci sia da discutere circa i metodi di fermo. Per ora comunque, sembra che l’ingiustizia venga punita solo quando a rimetterci è Caino.
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