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Emma Bonino tuona: “Mamma e papà? Servono mobilitazioni”. L’inganno del progresso è servito

È tornata a farsi sentire Emma Bonino, la vestale del neoliberismo radicale, la quale sulla propria pagina del cinguettatore detto Twitter, così ha sentenziato: “Non vedo nessuna luce sul destino dei diritti civili con questo governo. Roccella e Meloni pensano alla famiglia con mamma e papà, magari con due pupi. Temo che i nuovi diritti civili verranno messi in un cassetto. Serve una mobilitazione di tutte e tutti“. Parafrasando Nietzsche così parlò non Zarathustra, ma Emma Bonino. Insomma, la colpa è di chi ancora pensa alla famiglia come l’Occidente, in fondo, la pensa e la pratica da più di 2000 anni: con padri, madri e figli. Colpa gravissima, ovviamente, dal punto di vista degli araldi del fucsia e dell’arcobaleno neoliberali, tra i quali si pregia di annoverarsi Emma Bonino, che mai ha fatto mistero del proprio posizionamento radicale contro ogni radicamento etico di tipo comunitario dal punto di vista neoliberale di cui è espressione. Le comunità tradizionali, familiari, solide e solidali, sono un vetusto retaggio che puzza di fascismo intrinsecamente e che deve essere superato in nome della liberalizzazione individuale dei consumi e dei costumi.

Sotto questo riguardo, l’ala destra economica della deregulation dei mercati si incontra perfettamente con l’ala sinistra della deregolamentazione antropologica. L’ala destra mira a dissolvere ogni impedimento per il libero mercato e per lo scorrimento omnidirezionale delle merci. L’ala sinistra si batte contro ogni retaggio culturale basato sulla solidarietà e sull’appartenenza, sul legame e sull’eticità, per dirla con Hegel. Procedono separatamente, ma congiuntamente. Colpiscono ogni resistenza all’ordine del mercato. Ecco perché non mi stancherò di dire che L’Aquila neoliberale ha un’ala di destra deregulation dei mercati, destra del danaro, e un’ala di sinistra, deregolamentazione antropologica, deregulation di tipo sociale e etico.

Sotto questo riguardo, il discorso di Emma Bonino si inscrive perfettamente nell’ordine discorsivo dominante del capitale, che deve proporre la dissoluzione della famiglia, in quanto la famiglia è un baluardo di resistenza rispetto al nulla della forma merce e all’azienda lottizzazione di ogni rapporto. La famiglia, dice Aristotele, è la prova provante che siamo animali comunitari che vengono al mondo già proiettati in una comunità e quindi è la prova provante che il neoliberismo sbaglia a pensare l’individuo robinsonianamente come assoluto. Ancora, la famiglia è la prova provante del fatto che esiste uno spazio di relazioni solidali non analogicamente mercificabile. I rapporti familiari sfuggono alla logica illogica e a l’algida geometria del do ut des mercatista.

Ed è anche per questi motivi che l’ordine del global-capitalismo ha dichiarato guerra alla famiglia e lo fa usualmente abbinando in maniera ideologica la famiglia al patriarcato e all’omofobia, che sono certo cose che debbono essere superate, ma che non coincidono affatto con la famiglia. Sarebbe come dire che per combattere la polmonite bisogna combattere il polmone, laddove invece, ovviamente bisogna combattere la polmonite salvaguardando il polmone. In questo caso bisogna combattere le patologie possibili per salvaguardare il corpo sano della famiglia, che è la cellula etica fondamentale della comunità. Non per caso Aristotele nella Politica parte dalla famiglia. Non per caso Hegel nei Lineamenti di filosofia del diritto assume la famiglia come fondamento dell’eticità della vita etica, relazionale e comunitaria. Ecco perché il neoliberismo detesta in maniera palese la famiglia e conduce battaglie serratissime e quotidiane contro di essa. Ovviamente spaccia queste battaglie come se fossero il non plus ultra dello sviluppo, cioè del progresso. Senza dimenticare mai che per il neoliberismo il progresso è sempre e solo quello del capitale e delle sue classi. Ecco perché bisogna battersi contro il capitale, contro la disumanizzazione in atto. E per farlo bisogna resistere anche al mito regressivo del progresso.

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Diego Fusaro

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