L’attesa, il carisma, le attrattive del progetto tecnico: in altre parole la Roma ha saputo aspettare, parametrando i tentativi alla fattibilità dell’operazione per le sue finanze; il carisma lo ha incarnato e ogni giorno di più lo incarna Mourinho; la crescita recente del blasone, con tanto di trofeo europeo, a far da cornice.
Se Paulo Dybala è diventato un giocatore della Roma, dopo un’estate in cui la maggior parte delle valutazioni iniziali si sono scontrate con una realtà di conti da sistemare e liquidità esigue, è perché per tutto il periodo dell’attesa non è mai venuta meno la serietà dell’offerta, tutto compreso: a cominciare dai “paletti” oltre i quali i Friedkin non sarebbero andati.
Poi, ogni operazione di mercato come ogni evento in assoluto, è figlia del momento storico durante il quale si verifica: questa non è una diminutio della portata dell’affare; casomai è una sottolineatura ulteriore si meriti della Roma, tutta, intesa come società, come entità tecnica e sentimentale, con tutto il suo volano di entusiasmo che ha avuto una nuova diffusione a livello planetario, come nome e come storia di una piazza la cui simbologia ancora resiste al discredito del tempo presente.
L’arrivo di Dybala è un upgrade, come dicono gli esterofili, per il club, non c’è dubbio; ma al tempo stesso non manchiamo di sottolineare che deve essere percepito anche come una grande soddisfazione, con tanto di investitura, per il giocatore. Perché questo vuol dire crescere. Anzi: essere già cresciuti.
Infine: glielo diciamo bravo anche a Tiago Pinto o non è mai merito – anche – suo?
Paolo Marcacci
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