In dieci anni, tra il 2007 e il 2017, il Servizio sanitario nazionale italiano ha visto una forte diminuzione delle strutture di ricovero, sia pubbliche (-22%) che private (-11%), la riduzione complessiva di posti letto ospedalieri ammonta in questo lasso di tempo a circa 35mila unità in meno. Sembrerebbe, a primo impatto, un periodo temporale in cui alle nostre istituzioni importava ben poco della nostra salute, o comunque meno di ora.
Questo però non gli impedisce neanche adesso di liquidare la questione vitale degli spazi disponibili in terapia intensiva, il cui mancato aumento viene ormai giustificato senza troppo affanno: “Eh, ma è un altro discorso“, si sente quasi riecheggiare in lontananza mentre svolgiamo queste considerazioni, “prima occorre investire sulla vaccinazione“. Questa è la linea, salvo poi tornare a battere il ferro sui pochi posti letto e sugli ospedali al collasso non appena viene annunciata una conferenza stampa per spiegare l’ennesimo decreto restrittivo.
Circa 2/3 dei posti letto in terapia intensiva sarebbero occupati da non vaccinati, Draghi dixit, Speranza gli fa da eco. Dei 1600 posti occupati di cui si parlava nell’ultima conferenza stampa, 400 sarebbero vaccinati; ma al di là del quotidiano snocciolamento dei numeri, si rifiuta sempre di entrare nel merito della questione: come mai 1600 persone sfortunate sono arrivate in terapia intensiva? Saranno state curate tempestivamente al sopraggiungere dei sintomi? Avranno utilizzato con loro lo stesso riguardo – e i monoclonali – cui è ricorso il celeberrimo primario Massimo Galli? O le avranno relegate a tachipirina e vigile attesa (“trattamento consigliato, non imposto!” si affannano a smentire i debunker)?
Gli interrogativi che pone in diretta Ilario Di Giovambattista sono gli stessi di chi legalmente adopera sul suo corpo una scelta che una maggioranza bulgara ha invece adottato, ma anche i medesimi di un giornalista del Time, che avendo l’opportunità di chiederlo al diretto interessato non ha esitato ad alzare la mano: “Signor Draghi, come mai da noi abbiamo meno obblighi di voi, ma torniamo alla normalità?“, ha chiesto in sintesi.
“Non sono in grado di valutare la politica del Regno Unito, ho già molta difficoltà a farlo in Italia. Grazie“.
Continuare a fare domande è, più che mai in questa situazione, una necessità impellente: Di Giovambattista lo fa nel corso della rubrica “Usciamo per un attimo fuori dal pallone“.
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