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Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere ▷ Dott.ssa Caputo: “Mancano protocolli operativi, chiederemo intervento al Ministro”

Era il 6 aprile 2020 quando alcuni detenuti del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere si sono ritrovati vittime di violenze e vessazioni da parte degli agenti di Polizia penitenziaria. A distanza di più di un anno il tema torna di attualità a seguito della diffusione dei video delle telecamere interne del carcere che testimoniano l’inferno vissuto dalle persone recluse nella struttura casertana. Tutto è iniziato il 5 aprile, in pieno lockdown, quando in alcune sezioni del reparto Nilo si sono scatenate proteste e manifestazioni di alcuni detenuti che chiedevano mascherine e igienizzanti per le mani per ridurre il rischio di diffusione del coronavirus nella struttura. Gli animi si sono surriscaldati quando all’interno del penitenziario è iniziata a circolare la voce di un caso positivo al Covid-19.

Dopo 24 ore 300 agenti di polizia penitenziaria hanno organizzato quella che è stata definita una “perquisizione straordinaria generale“, trasformatasi presto in una vera e propria rappresaglia con ripetute violenze. Pugni, calci, schiaffi è quanto hanno subito i carcerati come punizione ai sommovimenti provocati il giorno precedente. Il Segretario Nazionale del Sindacato dei dirigenti del Corpo di Polizia Penitenziaria, Daniela Caputo torna sull’episodio raccontando la propria reazione di indignazione e vergogna alla visione delle terribili immagini di quanto accaduto a “Lavori in Corso”, sottolineando però quanto ci sia molta responsabilità da parte della politica.
Ecco il suo intervento ai microfoni di Stefano Molinari e Luigia Luciani.

La mia reazione è quella di tutta la parte sana della polizia penitenziaria: indignazione e vergogna. Sono immagini da cui un cittadino onesto e un poliziotto onesto devono dissociarsi. La nostra associazione si basa sui presupposti della difesa della legalità e dei diritti degli esseri umani indistintamente, siano essi liberi o detenuti. Queste immagini fanno soltanto indignare.

Come donna delle istituzioni nutro grande fiducia nella Magistratura, spero che i colleghi possano dimostrare la loro estraneità e soprattutto che, chi sa, aiuti la magistratura a ricostruire i fatti. A distanza di un anno siamo ancora qui a parlare di una situazione che dimostra tutta la sua fallacia, perché per un’amministrazione di polizia è un fallimento usare la forza per ristabilire l’ordine.

Questo ci deve far riflettere perché la rivolta delle carceri del marzo 2020 non ha insegnato nulla. L’alto numero di indagati per questi eventi sono la prova di un sistema fallimentare della gestione del carcere. Le istituzioni se ne sono disinteressate: da marzo 2020 non sono state prese iniziative per la sicurezza delle carceri, che hanno vissuto tutta la pandemia e le proteste, oltre alle numerose aggressioni subite da personale. Questo fallimento non deve celarsi dietro la responsabilità penali degli indagati, c’è una responsabilità politica.

Oltre agli episodi del marzo 2020 già vent’anni fa, nell’aprile del 2000, nel carcere San Sebastiano di Sassari è accaduto un episodio analogo. Allora intervennero un centinaio di poliziotti, pochi giorni dopo accusati di pestaggio da parte dei famigliari dei detenuti. Da allora ad oggi il fatto che si sia ripetuta la stessa cosa dimostra che ci si disinteressa del carcere e l’attenzione si focalizza solo quando accadono certe cose.

Queste sono azioni per ristabilire l’ordine ma non ci si riesce con l’uso gratuito della forza. Quello che noi lamentiamo come associazione di categoria è l’assenza di protocolli operativi in caso di rivolta. La mancanza di organizzazione ha causato un cortocircuito gravissimo che deve far riflette istituzioni e Ministero della Giustizia. Nei prossimi giorni manderemo una comunicazione al Ministro in cui chiederemo un intervento immediato. Questi episodi sono campanelli d’allarme che dimostrano che il sistema va cambiato totalmente. Ci sono forme di reclutamento approssimative, manca la formazione e una catena di comando. Chiediamo protocolli operativi che le procure conoscano, in modo da operare perquisizioni. Servono regole chiare per la massima garanzia delle persone e per gli uomini e le donne del corpo di polizia penitenziaria. Nei prossimi giorni lanceremo uno slogan: ‘No alla violenza nelle carceri, sì ad un corpo di polizia penitenziaria sano’. La polizia penitenziaria via dal DAP, l’amministrazione civile ha dimostrato di non essere in grado di gestire un corpo di polizia.”

Lavori in Corso

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