Nell’ultima pillola parlavo del fatto che apparentemente viviamo in un mondo democratico, ma in realtà c’è un modello economico oligarchico. La globalizzazione che per decenni ci è stata presentata come un mondo di salvezza ha in realtà creato, per effetto della diversa tassazione globale, dei paradisi fiscali e dello sfruttamento del lavoro. Nonché processi di delocalizzazione verso altri Paesi. Le logiche che si sono realizzate non sono affatto quelle di una crescita dei popoli e della giustizia sociale, ma al contrario la corsa verso sistemi con regimi fiscali agevolati. Non di rado legata alle più basse retribuzioni per i lavoratori.
Ora, raccontavo in una recente pillola che la forma del pensiero economico oggi prevalente vede il pensiero neoclassico che è riportato in auge dal pensiero unico neoliberista dalla fine del secolo scorso, cioè dalla fine del XX secolo. Ma che in realtà non fa altro che riprendere una dottrina, il mercato che si regola da sé, il punto di incrocio tra domanda e offerta, che era propria di una visione piuttosto oligarchica di un mondo molto lontano da quello attuale, dove l’impero prevalente era l’impero inglese. Parlo della fine del XIX secolo.
Quando entra in gioco la nuova versione del neoliberismo, quella che conosciamo tutti degli ultimi decenni, l’elemento fondante di tutti i pensieri economici che vengono a voi presentati come moderni, ma ripeto sono neoclassici, ruotano attorno al concetto di globalizzazione. La globalizzazione ci viene presentata da decenni come un mondo salvifico. A quelli della mia generazione, ai ragazzi che si laureavano negli anni ’90, si raccontava che saremmo entrati in un’Europa meravigliosa e via discorrendo.
Beh, questo processo in realtà nasconde due grandi interessi: lo sfruttamento del lavoro e lo sfruttamento di paradisi fiscali, condizioni più vantaggiose per le grandi corporate, per la grandi multinazionali. Quindi il fenomeno della deflazione salariale, cioè della lotta verso il basso dei salari, è certamente un fenomeno non avulso dal contesto della globalizzazione. Non solo, ma è certamente legato alle logiche perbeniste di alcuni modi di pensare particolarmente diffusi sui fenomeni migratori.
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