La colpa più grave e imperdonabile dei 5 Stelle è quella di aver fatto in frantumi la fiducia collettiva della possibilità del nuovo in politica. L’aver cioè dimostrato con la loro inqualificabile metamorfosi kafkiana che sotto il nuovo si nasconde il vecchio.
Dietro la maschera accattivante del movimento che avrebbe dovuto “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”, vi era ancora il medesimo. E il medesimo coincide con la politica intesa e praticata come mera continuazione dell’economia.
Liberismo come nuova ragione del mondo, il governo per i mercati, la politica come continuazione dell’economia.
È poca cosa di per sé la parabola involutiva del 5 Stelle: nato con un comico, si estingue comicamente.
Nell’agosto del 2019 il Movimento si è disinnescato e decaffeinato. Ora a quasi due anni di distanza esso è evaporato. È diventato appieno ciò contro cui combatteva, ha aderito all’europeismo e si è spinto ad appoggiare il governo dell’euroinomane più impenitente: l’ex Goldman Sachs Mario Draghi.
Ebbene sì. Tramite la piattaforma Rousseau ha espresso il proprio consenso a Draghi, per altro con un quesito che stupisce per la sua regressiva formulazione tautologica. Formulazione con la quale si presume che i militanti, trattati come un’uniforme massa di idioti, non possano fare altro che assentire al cospetto del nuovo governo.
L’ondata di delusione generata dai 5 Stelle è la loro colpa più grande e imperdonabile. D’ora in avanti sarà sempre più difficile provare a entusiasmare gli sconfitti della globalizzazione.
L’ordine dominante non avrebbe potuto chiedere di meglio. È il più grande servizio che gli si potesse offrire.
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