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In Italia cifre scandalose e società sospette dietro le mascherine ▷ Le rivelazioni di Ranucci: “Le abbiamo pagate 10 volte più del normale”

Sembra inevitabile: quando vengono affidati grandi importi da spendere senza una gara, qualcosa diventa sempre torbido fino – in qualche caso – a puzzare di marcio.
Parliamo dei dispositivi di protezione, sui quali tanto dibattito c’è stato tra marzo ed aprile, fino a diventare quasi un indumento intimo da indossare quotidianamente.

Ma prima di diventare consuetudine le mascherine sembravano introvabili, e parallelamente agli acquisti all’estero e in particolare dalla Cina, la sfida era creare una filiera nazionale di produzione italiana.
Ma come ce la siamo cavata?
A rispondere all’interrogativo si è cimentata la squadra di Report, che questa sera con il suo frontman Sigfrido Ranucci ci racconterà come le commesse ordinate alla Cina, a conti fatti, siano state tutt’altro che convenienti per il contribuente italiano: si arriva fino a cifre di dieci volte superiori alle altre nazioni europee.

Numeri esosi di cui non si conosce il perché, conditi da commissioni altrettanto onerose ai responsabili delle operazioni; mentre invece qualche fabbrica italiana si è ritrovata fuori dai progetti di Arcuri.
Sigfrido Ranucci ci ha detto di più in diretta.

Ci siamo messi sulle tracce delle mascherine che sono state comprate in piena emergenza in una struttura commissariale con una commessa da 1,2 miliardi di euro. Sono state comprate in Cina attraverso una mediazione di Benotti e di Tommasi.
Benotti è stato un giornalista Rai ma è anche un imprenditore. E’ un uomo che ha delle relazioni importanti, perché è stato consigliere della Presidenza del Consiglio del Governo Renzi, ha avuto rapporti con Prodi, Delrio e anche con il sindaco Nardella, è stato consulente.
E’ stato anche dentro la segreteria di Gosi come sottosegretario agli affari europei. E’ uno che ha un’agenda importante, per questo è anche un imprenditore che si occupa di componenti elettronici per le telecomunicazioni, e in piena emergenza il commissario si è rivolto anche a lui in qualità di manager Invitalia.

Benotti si è quindi rivolto ad un amico: Tommasi, un ingegnere aerospaziale che ha un’azienda, la Sunsky, che si occupa di marketing per la difesa.
Ecco, lui è stato quello che ha messo in contatto le società cinesi dalle quali abbiamo comprato queste mascherine. Solo che noi le abbiamo pagate molto molto di più rispetto agli altri paesi.
Ora, è vero che si trattava di un periodo di emergenza e di quantitativi molto importanti, ma il problema è che le abbiamo pagate anche dieci volte di più rispetto agli altri.

Ai due, Tommasi e Benotti, è stata riconosciuta una commissione di 60 milioni di euro. Cifre che forse rispetto agli 1,2 miliardi di prima sembrano bruscolini, però non lo sono affatto.

Quanto ha inciso questa commessa sul prezzo delle mascherine? Non lo sappiamo. Quello che però Report ha scoperto è che tra questi consorzi cinesi da cui abbiamo comprato, c’è una società in particolare che è stata costituita cinque giorni prima della firma del contratto, e una serie di utenze telefoniche che abbiamo incrociato portano a un certo Ka Zunkai, che ha numerosi sedi in Italia ed è il cognato di Yu Wi, uno che ha un negozio a Roma a Piazza Vittorio e che è rimasto coinvolto poco tempo fa in un’inchiesta della Dda: uno che non ha un passato molto limpido, ecco.
Non vorrei che poi alla fine questi soldi siano andati in mano a dei consorzi che hanno qualcosa di maleodorante”.

E gli investimenti dati alle imprese italiane?

Abbiamo lavorato sulle mascherine che ha fatto FCA, che ad un certo punto sono state sequestrate dalla Procura di Savona perché puzzavano: sono andate anche a finire nelle scuole, i genitori erano tranquilli, ma questa roba che hanno inalato sembrerebbe tossica. Una parte della commessa di FCA era stata fatta anche in Cina.

Per quanto riguarda gli investimenti italiani sono stati dati 50 milioni di euro a 130 aziende perché si riconvertissero immediatamente. Erano contributi a fondo perduto, ma qual era la clausola? Che si concludesse il progetto entro 15 giorni.
Quello che non è stato calcolato è che c’erano le frontiere chiuse a causa del lockdown, non si poteva importare materia prima, quindi adesso devono restituire questi soldi.

In più c’è anche chi invece ha prodotto e si aspettava una commessa di mascherine da parte del Commissario Arcuri, invece questa commessa non c’è stata perché per la legge non c’era l’obbligo di ordinarle queste mascherine, quindi adesso sono costretti a darsele in testa o a mandarle all’estero.
Chi ha ragione? E’ un po’ difficile stabilirlo, possiamo dire chi ci ha perso: il Paese
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