Voglio soffermarmi sulla questione del riconoscimento, o meno, di Nicolas Maduro come dittatore. Una questione che sta infiammando ultimamente il dibattito politico italiano. Maduro, come il suo maestro Chavez, ha deciso di basare tutta la propria vita politica nella lotta all’imperialismo nordamericano e alla dottrina neoliberista che gli Usa hanno sempre provato ad imporre ai Paesi dell’America Latina.
Combattere il neoliberismo vuol dire entrare in guerra. Una guerra che ti costringerà a subire sanzioni, embarghi, blocchi, ritorsioni, tentativi di colpi di Stato. E tutto questo comporterà inevitabilmente grandi sofferenze per il tuo popolo. E ti costringerà a comprimere i loro diritti.
Alcuni popoli hanno deciso sulla propria pelle di provare ad opporsi al corso della storia. E come tutti quelli che ci hanno provato, ne stanno subendo le drammatiche conseguenze. E’ evidente che il popolo venezuelano non potrebbe stare meglio di come sta adesso. Ma colui che loro hanno scelto a governarli, vuole continuare la sua battaglia nonostante le drammatiche conseguenze. E sono loro gli unici che dovranno giudicare o condannare quella scelta.
Certo, avrebbero potuto cedere al fantoccio imposto dagli americani, oggi starebbero meglio, probabilmente. Ma dove staremmo noi oggi, se anche i nostri nonni avessero ceduto per non combattere? In Italia viviamo con l’illusione che il neoliberismo e il suo ordine mondiale si combatta sui social.
Per giudicare Maduro e altri come lui, dovremmo vederli prima operare senza embarghi, senza sanzioni, senza blocchi, senza doversi difendere da colpi di Stato. Per il momento non possiamo che abbassare lo sguardo davanti ai sacrifici di certi popoli. Anche quando chi li governa è espressione di una dottrina politica distante anni luce dalla nostra. La lotta al neoliberismo non conosce colore politico.
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