Una premessa è doverosa, da parte di chi scrive: qualche mese fa, all’alba della riconferma di Paulo Fonseca per così dire, avevo scritto che il secondo anno del tecnico portoghese sulla panchina della Roma iniziava in modo quantomeno problematico. Tutto era meno che saldo, Fonseca, quando si accingeva a principiare la sua seconda stagione giallorossa.
Rumors su altri tecnici, Allegri in testa; dubbi societari amplificati a mezzo stampa; un’eliminazione in Europa League arrivata subendo il Siviglia senza mai impensierire gli andalusi, con tanto di “j’accuse” pubblico da parte di Dzeko al termine della gara.
Ne avevamo visti troppi, compreso Luciano Spalletti al termine della sua prima esperienza romanista, di tecnici implosi dopo una dubbiosa riconferma. Troppi.
Oggi ci ritroviamo a dover dare a Fonseca ciò che è di Fonseca; a tributargli i “bravo” che sacrosantamente merita per più di un motivo, in ordine sparso: per aver saputo fungere elegantemente da parafulmine nell’inizio di stagione più anomalo e complicato della storia recente, proteggendo il gruppo in ogni aspetto; per non essersi mai lamentato pubblicamente per ciò che non è arrivato dal mercato e che continua a essere necessario, nonostante i risultati; per aver saputo ricompattare la squadra e coinvolgere di nuovo giocatori che erano finiti davvero ai margini, alcuni dei quali perché ci si erano relegati da soli; per aver sopperito alla mancanza di un direttore sportivo nel momento nevralgico di un mercato complicato per tutti, per la Roma di più dopo la querelle con Petrachi. E altro ancora potremmo dire e celebrare, anche per come la Roma sa essere piacevole, sempre di più, nell’esibire il suo gioco e la sua mentalità.
Non era facile, essere Paulo Fonseca, all’inizio di una stagione così ingarbugliata e con una cappa di dubbi che velava il cielo sopra Trigoria: se ora il cielo è nitido e si possono formulare certe ipotesi di classifica, il merito è per la maggior parte suo, a maggior ragione per tutte le occasioni in cui si è ritrovato solo a fronteggiare le critiche e le perplessità.
Paolo Marcacci
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