“Erano obblighi europei“.
Con queste parole Romano Prodi rispondeva a Lucia Annunziata sulle motivazioni che negli anni ’90 lo hanno spinto a smantellare l’Iri per privatizzarla.
Si tratta di una confessione che in un paese normale sarebbe considerata alla stregua di un alto tradimento: smantellare aziende di Stato per rispondere a diktat di quelli che Prodi chiama nell’intervista “i nostri riferimenti europei“.
“Si immagini se io ero così contento di disfare ciò che avevo costruito, ma bisognava farlo per rispondere alle regole generali di un mercato in cui eravamo entrati. E questo non era sempre un compito gradevole“, continua Prodi, “ma l’abbiamo fatto come bisognava farlo. Mi è stato dato un compito da Ciampi, un compito obbligatorio per tutti i nostri riferimenti europei: dovevamo privatizzare”.
Queste parole dimostrano in maniera cristallina il legame diretto tra l’entrata nella moneta unica e la deindustrializzazione dell’Italia.
A questo tassello va poi aggiunto quanto già emerso e riportato nel 2010 dal New York Times: si tratta di una notizia mai ripresa dai media italiani.
“Operazione Crystal“, così si chiama il piano finalizzato a favorire l’entrata dell’Italia nell’euro mediante la quale il governo italiano insieme alla spietata banca d’affari americana J.P. Morgan riuscì con un trucco contabile – utilizzando un derivato attivato nel 1996 – a portare il budget italiano in linea con i parametri europei imposti.
Per entrare nell’euro abbiamo dovuto quindi truccare i nostri conti insieme a banche d’affari americane, le stesse a cui abbiamo svenduto il nostro patrimonio industriale (primo tra tutti l’Iri) per quelli che Prodi chiama “obblighi dei nostri riferimenti europei”.
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