Il rimpasto di Governo (che nessuno lo chiami rimpasto!) è questione di giorni. La questione era chiara già prima che i due vicepremier si incontrassero per il primo faccia a faccia dopo le elezioni europee. Toninelli ai trasporti la prima testa da far saltare, segue Grillo alla sanità, immuni Trenta e Costa. La parola chiave di questo rimpasto è temporeggiare: da una parte lo yes-man a 5 stelle, costretto ad accettare ogni capriccio dell’alleato, dall’altra il braccino da tennista della Lega, che pur in vetta rallenta la presa così da tenere meglio il controllo e battere ancora più forte al momento giusto. Ne abbiamo parlato con il direttore di “Palazzi e Potere” su affaritaliani.it, il giornalista Marco Antonellis. Ecco l’intervista.
C’è da tener presente una cosa, il Capo dello Stato se ci sarà un rimpasto superiore ai tre ministri rinvierà il Governo alle camere per un nuovo voto di fiducia. Mattarella è da diverse settimane che sospetta che si voglia arrivare ad un rimpasto e sembra che sia esattamente questo il tema.
Toninelli è fuori per le tante situazioni politiche non chiuse, per le tante gaffe, per le polemiche, per la mancanza di chiarezza nelle decisioni. Dal ponte Morandi agli ultimi fatti di cronaca più recente. A detta anche delle stesse fonti interne ai 5 Stelle non si è mosso in maniera adeguata. Di Maio non è contentissimo di Toninelli ed è già da diverso tempo, da diversi mesi che è così. Idem per Giulia Grillo, perché si ritiene che non abbia dato l’immagine di freschezza, di ringiovanimento del ministero che invece i grillini volevano. La Trenta invece vista la delicatezza del proprio dicastero, che ha implicazioni anche internazionali, e visto che Mattarella ha un’ottima interlocuzione con lei si ritiene che debba essere lasciata fuori dal rimpasto, anche se c’erano degli esponenti, compreso Salvini, che avrebbero voluto cambiare le misure della difesa.
Non ci dimentichiamo che i rimpasti vengono fatti anche in base ai sondaggi interni che i partiti hanno. C’è tutto un indice di gradimento sui singoli ministri e questo influisce moltissimo. Si punterà molto sui sottosegretari, perché danno delle posizioni di potere e lì il Quirinale difficilmente metterà bocca.
L’analisi è condivisibile, Di Maio se non vuole andare a casa con tutti i grillini deve necessariamente diventare lo yes-man di Matteo Salvini. Loro hanno provato fino all’ultimo a negare la realtà, ma quando i rapporti di forza si invertono in questa maniera è fatale che il pallino finisca nelle mani di Salvini. Loro se vorranno andare avanti dovranno dire di SI a tutto.
Ci sono dei nomi, per esempio Guglielmo Picchi degli affari europei. Loro hanno dei nomi che tengono ancora coperti, questo per non bruciarli. Però comunque non saranno nomi di primissimo piano o di altissimo livello. Si tratta di un rimpastino che nella migliore delle ipotesi andrà avanti qualche mese. Probabilmente Salvini preferisce evitare di andare lui a Palazzo Chigi adesso e farsi prendere sberle dalla comunità europea, perché di questo si tratterebbe. Dovrebbe combattere contro lo spread e contro Bruxelles, ed è un po’ troppo anche per lui evidentemente.
Assolutamente no, loro si sono sempre serviti di Giuseppe Conte. L’hanno sempre usato come paravento, si sono sempre nascosti dietro quando le cose andavano male. Conte è quello che gli ha tolto le castagne dal fuoco giù una volta, con la Comunità europea dopo quelle sceneggiate fatte da Di Maio sul balcone. Quindi a Conte secondo me lo devono solo ringraziare.
C’era un patto tacito tra Di Maio e Salvini. Quando è stato redatto il contratto di Governo c’era un patto non scritto, tra gentiluomini, per il quale chi vinceva le europee nominava il commissario italiano. Le europee le ha vinte Matteo Salvini quindi sarà lui a scegliere. I grillini avrebbero un sogno, quello di togliersi di torno Giancarlo Giorgetti, la loro spina nel fianco. Quindi in realtà a proporre Giorgetti in Europa non è Salvini, è Di Maio. Sa benissimo che verrebbe notevolmente depotenziato in Italia Matteo Salvini senza Giorgetti. E’ lui il vero stratega, il vero uomo-macchina della Lega.
Qui le questioni sono due. I grillini hanno paura di essere decimati da nuove elezioni, quindi sono pronti a tutto pur di mantenere la poltrona. Loro che nascevano per definizione come quelli ai quali la poltrona non interessava sono costretti a dire di sì per tenersela stretta, come avrebbe fatto un qualunque altro partito della storia repubblicana. La parte leghista, che avrebbe invece tutto l’interesse ad andare al voto e capitalizzare l’ottimo risultato delle europee, fa un altro ragionamento: aspettiamo prima di vedere che commissione nascerà nei prossimi mesi, tra ottobre e novembre, vediamo chi ci ritroveremo a Bruxelles e poi decidiamo. Adesso Salvini ha paura di andare allo scontro con Bruxelles, perché rischia di trovarsi contro non solo i bruocrati ma anche il partito dello spread e potrebbe perdere un sacco di voti. Quindi vuole tirarla per le lunghe ancora qualche mese, far fare la finanziaria a Conte, in modo che se ne addossi la responsabilità nel bene e nel male, e poi eventualmente rovesciare il tavolo e votare a inizio anno.
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