L’avanzata dei sistemi digitali sta trasformando servizi essenziali, dai trasporti ai pagamenti, creando nuovi nodi critici per la tenuta democratica. Nel dibattito pubblico cresce la fiducia verso la comodità tecnologica, ma si sottovalutano i rischi legati all’automatizzazione totale. Il costituzionalista Carlo Iannello, ai microfoni di Un Giorno Speciale, invita a riconsiderare la narrazione dominante, a partire dal tema del pagamento elettronico e della dipendenza dai software privati.
Per Iannello, la retorica dell’efficienza digitale ha già oltrepassato la soglia dell’utilità, trasformando ciò che dovrebbe essere una possibilità in una forma di imposizione. «Una cosa è avere una opportunità… altra cosa è che questa possibilità diventa un obbligo», afferma, ricordando che l’Europa stessa invita a mantenere contante a disposizione per ragioni di sicurezza. L’esempio dei blackout o dei sistemi di pagamento in tilt, come accaduto recentemente in Spagna, evidenzia quanto sia fragile un modello esclusivamente elettronico: «Hanno passato una giornata intera senza poter fare quasi più nulla».
Il passaggio dal denaro fisico alle carte non è neutrale. Ogni pagamento elettronico genera commissioni che, accumulate in migliaia di micro-transazioni, producono profitti enormi per il sistema bancario. Iannello lo definisce «un meccanismo costruito per noi servi della gleba», perché i soldi – anziché girare integri nell’economia reale – vengono progressivamente drenati verso chi gestisce i circuiti. «In tutte queste transazioni quei 50 euro rimangono 50 euro… in ogni transazione elettronica c’è una piccola commissione che va alle banche», sottolinea. Commissioni che, nel lungo ciclo, «diventano 100 euro delle banche senza aver contribuito zero allo sviluppo della società».
Uno dei pilastri della spinta al digitale è l’idea che la tracciabilità riduca l’evasione fiscale. Iannello definisce questa narrazione un «immensa falsità». La lotta all’evasione attraverso i pagamenti elettronici colpisce solo l’economia minuta: «Forse si evita quella del fruttivendolo sotto casa che guadagna 2.000 euro al mese», ammette. Ma sui grandi flussi finanziari, secondo lui, l’effetto è nullo. Anzi, il sistema favorisce gli attori globali che già praticano forme sofisticate di elusione.
Il nodo centrale, per il professore, riguarda la sproporzione tra i controlli sui piccoli e i benefici concessi ai colossi tecnologici e commerciali. «Se si vuole evitare la vera evasione, dei grandi gruppi… non serve a nulla», spiega citando pratiche come l’apertura di sedi in paradisi fiscali. Il caso Amazon è esemplare: «Paga l’1,2%». La provocazione finale sintetizza il paradosso: «Facciamo pagare al fruttivendolo sotto casa l’1,2% e lo Stato lo mandiamo su Marte».
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