Dai titoli dei giornali alle riunioni d’ufficio, dai social alla pubblica amministrazione: l’italiano di oggi convive con un flusso costante di parole nuove. Anglicismi e neologismi entrano nel lessico comune con velocità inedita, segnando non solo l’uso quotidiano della lingua, ma anche il modo in cui inquadriamo i problemi e immaginiamo le soluzioni.
Gli ingressi seguono percorsi riconoscibili. Ci sono i prestiti integrali — budget, call, report — adottati per sintesi o per allineamento internazionale; i calchi semantici — tempo reale da real time, catena di fornitura da supply chain — che cercano un equilibrio tra precisione tecnica e trasparenza; e gli adattamenti morfologici — postare, taggare, forwardare — che italianizzano l’uso, quasi sempre sulla coniugazione in -are. Nel tempo, l’oscillazione tra forme concorrenti si riduce e la norma d’uso si stabilizza: la leadership, la call, il budget; plurali spesso invariabili (i report, gli smartphone).
La scelta lessicale non è neutra. Dire smart working invece di telelavoro evoca flessibilità e autonomia più che adempimenti normativi; fake news suggerisce l’eccezionalità dello scandalo, disinformazione richiama un fenomeno strutturale; stakeholder suona come inclusione di attori molteplici, mentre portatori di interesse rende l’idea ma cambia ritmo e percezione. Ogni termine attiva una cornice: orienta l’attenzione, gerarchizza le priorità, può persino influenzare le scelte. Non è solo questione di stile: è di politica linguistica, consapevole o implicita.
La lingua si muove dove vive. Scuola, amministrazioni e media incidono sulla standardizzazione; le comunità professionali fanno da “filtro” tecnico; i social accelerano la diffusione e l’ibridazione. La domanda chiave non è se un forestierismo sia “giusto” o “sbagliato”, ma se sia necessario (per evitare ambiguità), chiaro per il pubblico di riferimento e coerente con il registro. Laddove l’italiano offre un equivalente preciso e condiviso, la traduzione favorisce accessibilità e inclusione. Dove la precisione specialistica è in gioco, mantenere l’originale può essere la scelta più informativa.
Parole come resilienza, sostenibilità, transizione sono passate dal gergo tecnico al discorso pubblico, ridefinendo ciò che percepiamo urgente o virtuoso. Il lessico, insomma, non fotografa soltanto la realtà: contribuisce a costruirne una versione operativa. Per questo la responsabilità di chi comunica — giornalisti, decisori, aziende — è duplice: raccontare il mondo e, insieme, evitare che le etichette lo deformino.
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