In un panorama informativo dove ogni temporale diventa “evento estremo” e ogni variazione stagionale viene letta come prova inconfutabile dell’“apocalisse climatica”, emerge — comprensibilmente — un nuovo stato d’animo collettivo: la solastalgia. Si tratta di un disagio autentico, un sentimento di perdita e angoscia di fronte a un ambiente percepito come in trasformazione o danneggiato. Non è una debolezza, né tantomeno una invenzione: chi prova solastalgia sperimenta un dolore reale, radicato in un legame profondo con il proprio territorio.
Ma da dove nasce questo disagio crescente? Se da una parte esistono mutamenti ambientali evidenti, dall’altra è impossibile ignorare il ruolo amplificatore del sistema mediatico. Quotidiani, notiziari, influencer ambientali e headline costruite per generare click sono passati, negli ultimi anni, da una cronaca sobria a titoli catastrofici. Le piogge diventano bombe d’acqua, le estati calde “torride emergenze globali”, e ogni grandinata viene etichettata come l’“effetto visibile del collasso climatico”. In questo contesto, chi è sensibile all’ambiente è travolto da un’ondata costante di allarmi, spesso spacciati per certezze scientifiche assolute.
Il problema, dunque, non è la sofferenza dei cittadini — legittima e degna di ascolto — ma l’isteria informativa che la innesca e la alimenta. Quando si bombarda l’opinione pubblica con scenari di fine del mondo, senza spazio per il dibattito o la messa in prospettiva dei dati, il malessere si diffonde come un’epidemia emotiva. E in un mondo dove il “clima della paura” fa vendere più copie (e garantisce più clic), il confine tra informazione e propaganda si fa sempre più sottile.
Non si tratta di negare l’esistenza di cambiamenti o la complessità del rapporto tra uomo e ambiente. Si tratta di chiedere responsabilità. Perché creare allarmismo gratuito non solo mina la lucidità del dibattito scientifico, ma colpisce le persone più vulnerabili, le incita all’ansia senza offrire soluzioni reali.
“Io però devo anche ammonire il popolino: smettetela di informarvi da chi le spara grosse. Informatevi da siti di meteorologi, intanto“: a parlare è il colonnello Mario Giuliacci, che da Stefano Molinari si è lasciato andare a uno sfogo notevole sui calori da prima pagina: “Chi ha scritto che siamo arrivati a toccare 50°C nelle scorse settimane si vergogni“.
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