Gli apprezzamenti individuali restano, anche perché le doti dei singoli non possono essere messe in discussione; la progettualità però è un’altra cosa e in seno alla Roma da un mese a questa parte la progettualità risponde al nome di Gian Piero Gasperini, non di Paulo Dybala e/o Lorenzo Pellegrini. Sic et simpliciter. Da qui scaturiscono tutta una serie di considerazioni, che possono prescindere, in qualche caso anche spietatamente, dal valore dei singoli. E dei simboli.
Bisogna accantonare anche i gradimenti personali, in qualche caso, perché chi scrive uno come Dybala lo terrebbe sempre, se assicurasse un numero minimo di anche venti partite soltanto, così come con grande curiosità avrebbe voluto vedere Lorenzo Pellegrini lavorare con Gasperini sin dall’inizio della preparazione, convinto che il numero sette della Roma (ancora per quanto?) sarebbe rinato innanzitutto come atleta, quindi anche come giocatore di qualità; il fatto è che esiste la “ragion di stato”, ovvero l’interesse della Roma, articolato in quello dei Friedkin, di Massara e dei conti che stanno alla base delle sue operazioni, infine dello stesso Gasperini.
Le squadre del tecnico di Grugliasco sono sempre state dei “soviet”, in senso calcistico, ossia contrassegnate dal collettivismo agonistico e tattico che ha fatto brillare le doti dei singoli, negli anni.
Qui sta il nocciolo delle questioni, ci piaccia o no: quando di un singolo di pregio come Dybala la Roma può godersi le qualità messe al servizio della squadra, il collettivo ne risulta esaltato; se ne deve pagare le criticità – vedi infortuni ricorrenti o assenze prolungate – il gioco non vale la candela e a volte nemmeno più il giocatore, per quanto un suo quarto d’ora possa essere più impattante di tre partite intere di alcuni suoi compagni.
Potrà sembrare doloroso e determinate rinunce eventualmente lo saranno, sul fronte tecnico, ma se il “consiglio di fabbrica” gasperiniano dovesse deliberarlo, la cosa avrebbe un senso e se dovessero arrivare i risultati quelle che oggi chiamiamo rinunce – tecnicamente dolorose al momento, ripetiamo – non verrebbero nemmeno più percepite come tali.
Paolo Marcacci
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