Una delle più elevate forme di talento? Saper riconoscere il talento altrui, saperlo valorizzare, sapersene circondare e infine giovarsene. Non è stato certo l’aspetto principale della bravura e della carriera infinita di Pippo Baudo, però è uno dei particolari che traduce l’intelligenza della persona, quella che stava dietro al personaggio. Di quelli scoperti e valorizzati da Pippo Baudo, approdati a un successo duraturo e definitivo, perdemmo il conto qualche decennio fa.
Il suo, di talento, sempre istintivamente capace di rispettare la forma e la misura, era cresciuto e si era evoluto assieme al Paese, perlomeno finché il costume e le abitudini degli italiani non avevano cominciato a deteriorarsi, con la televisione che era stata cartina di tornasole di quella involuzione, come sempre accade. Non a caso e non soltanto per motivi anagrafici, proprio quando aveva preso atto di quel processo, di quella inesorabile crescita di becerume e volgarità, aveva iniziato a prendere le distanze dal centro della scena: lui che aveva sempre intrattenuto gli italiani con tutta l’eleganza che metteva in una televisione leggera, non poteva sopportare che nel frattempo fosse diventata così superficiale, grossolana, a tratti indecente.
Evitiamo il rischio di buttarla in politica, cosa che lui riuscì sempre ad evitare quale che fosse il programma che conduceva, però al tempo stesso diciamo che, nell’ambito della tv d’intrattenimento, nessuno come lui è stato capace di confrontarsi con ogni tipo di personaggio, compresi i rappresentanti delle istituzioni e gli esponenti di vari governi, nel corso di una carriera dalla durata geologica; sapendo interloquire con tutti e valorizzando i concetti espressi da ogni interlocutore; non perché non avesse le sue convinzioni, ma perché mai avrebbe sacrificato una parte del pubblico sull’altare di una versione di parte.
I nostri lettori con qualche anno in più ricorderanno quell’accusa rivolta a Baudo, formulata dall’allora Presidente della Rai Enrico Manca, di essere “nazional – popolare”, non certo in senso gramsciano.
Baudo ci rimase malissimo, comprensibilmente, mentre oggi anche lui la prenderebbe come un complimento. Perché era in effetti popolarissimo e nazionale anche in ambito linguistico, nel tempo in cui la televisione italiana diffondeva un italiano corretto, elegante senza essere formale, atto a veicolare garbo e buon gusto: bisognava ancora presentarsi decentemente, per entrare nelle case della gente. Senza urlare, senza puntare l’obiettivo delle telecamere nel buco della serratura delle vicende più sordide, senza perseguire volgarità e provocazione per apparire emancipati.
Ci mancherà un poco di più, ora, Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo detto Pippo, perché da qualche anno ci mancava già.
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