Inutile fare i puristi, è troppo tardi per esserlo. Il passaggio di Mateo Retegui, ultimo capocannoniere della nostra Serie A con 25 reti in 36 partite, all’Al Qadsiah e alla lega araba, è solo la naturale (ed ennesima) conseguenza di una trasformazione subdola e silente che, in tanti, non solo non hanno impedito, ma anzi hanno incentivato.
Quella del calcio: lo sport che, da religione laica in grado di smuovere miliardi di persone, è stato gradualmente convertito nel giocattolo vuoto e asettico dei ricchi di turno. Una vacca grassa da mungere fino allo sfinimento, anche a costo di minare la stabilità finanziaria delle stesse squadre, oltre che la logica del gioco.
Nessuno ha fatto un fiato quando anni fa il PSG acquistò Neymar dal Barcellona per la modica cifra di 222 milioni di euro; e quante emittenti hanno posto il veto sull’aumento (e annesso spezzettamento) del numero di partite a stagione? Mi pare nessuna. D’altronde, “pecunia non olet” dicevano i latini. E quello dei diritti tv è un bottino che nessuno vuole farsi scappare…
Quello che sfugge ai più, è che non è il Retegui di turno il vero problema. Ma come lo sport che appassiona miliardi di persone abbia subìto una distorsione tossica e distantissima dalle sue radici.
No, nessuno rimpiange il football delle porte in legno, i palloni cuciti o le partite la domenica alle 3. Lasciamo la nostalgia demagogica e ipocrita ad altri. Come diceva Verga, la “fiumana del progresso” è un fenomeno inevitabile; “tutto scorre” aveva anticipato Eraclito. Ma c’è modo e modo di cambiare. E il calcio contemporaneo, sta prendendo una direzione che rischia di diventare fatale per sé stesso e la sua popolarità.
Come non pensare alla ‘brillante idea’ della Superlega? O al flop rappresentato dal ricchissimo (ma quasi ignorato) Mondiale per Club di questi ultimi mesi? Le squadre spendono sempre di più, a volte persino soldi che non hanno. I calciatori pretendono e hanno un potere contrattuale che non hanno mai avuto in passato. Ed ecco, ad esempio, che nascono questi pseudo-tornei “circoletto”, che altro non sono se non l’origine, e al tempo stesso l’estremizzazione, di un meccanismo economico in cui solo i più forti a livello monetario riescono a prevalere.
Il risultato è un calcio elitario, completamente assestante alle logiche del mondo reale, e segnato da un circolo vizioso continuo in cui il fenomeno arabo è solo l’ultima (per ora) tappa della storia. La cosa triste, è che per la prima volta in assoluto si è avuta la conferma di come lo sport che amiamo si stia svuotando al punto di trasformarsi nello “spin-off” di sé stesso.
Ma il fatto che, in modo inedito, questa consapevolezza stia diventando ancora più solida e matura, non significa che si tratti di un fenomeno recente. Sono anni che la malattia non è più in incubazione, e scandalizzarsi ora non ha alcun senso.
Dal punto di vista sportivo, la scelta di Retegui di lasciare l’Atalanta per andare a giocare in Arabia fa schifo? Sì. Ma alla luce del nichilismo che pervade tanto il mondo come il calcio moderno, chi si sente davvero di giudicare un professionista che, in 4 anni, andrà a guadagnare 80 milioni di euro?
Di fronte a tale scenario, non resta che accettare l’inesorabile secolarizzazione laica che ha colpito questo sport. E godere, per quel che si può, di ciò che ha da offrire. Ma guai a credere nelle favole o nelle bandiere: quel calcio è morto, e non l’abbiamo ucciso quest’estate.
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