L’ex europarlamentare della Lega Antonio Maria Rinaldi rompe il silenzio su uno dei temi più spinosi dell’era Covid: la gestione opaca dei contratti tra Commissione Europea e Big Pharma. E lo fa denunciando direttamente il metodo con cui furono gestiti quei documenti. Ma le sue critiche si estendono anche all’agenda green, al ruolo della Presidente von der Leyen e ai limiti di un’Unione Europea che — a suo dire — ha smarrito la bussola della trasparenza e del buon senso.
Rinaldi non usa mezzi termini nel definire “surreale” l’accesso ai contratti tra Commissione UE e aziende farmaceutiche durante la pandemia. “Pensate che quando ero a Bruxelles diedero la possibilità di visionare per un numero limitatissimo di minuti, in una stanza chiusa senza portare telefonini, questi benedetti contratti con le big pharma”, racconta. “C’erano 100.000 omissis, praticamente era tutto cancellato”. Il riferimento è diretto all’affaire von der Leyen-Pfizer e agli sms scomparsi che avrebbero preceduto l’accordo multimiliardario sui vaccini. Un episodio che, secondo l’ex europarlamentare, tradisce ogni principio di accountability istituzionale. “Alla faccia della trasparenza”, chiosa con amarezza.
L’accusa si allarga alla svolta politica della Presidente della Commissione: “La signora Ursula von der Leyen ha cambiato di 180 gradi, una piroetta degna di Carla Fracci”, osserva sarcastico Rinaldi, riferendosi al netto ripensamento della linea ecologista. Secondo l’economista, non si tratterebbe di una presa di coscienza tardiva sulla non sostenibilità del Green Deal, ma di una mossa strategica legata al nuovo assetto politico in Germania e al contesto geopolitico. “Lo fa perché il governo tedesco non è più nella coalizione con i Verdi, e perché l’amministrazione americana di Trump sta chiudendo accordi con tutto il mondo. L’unica grande area ferma è l’Unione Europea”, denuncia.
La critica si fa tecnica quando si parla di neutralità tecnologica e transizione energetica. “È possibile che tutta la transizione green si sia fondata sull’elettrico e non su principi di neutralità tecnologica?”, domanda retoricamente Rinaldi. Il punto è chiaro: “L’Italia è leader nei biocarburanti, che sono competitivi e non di origine fossile. Perché non puntare su quelli?”. Il sistema attuale, accusa, impone un’unica via — quella elettrica — a discapito dell’innovazione. “È come dire: devi andare da Roma a Milano, ma solo col deltaplano. Perché? Fammi scegliere il mezzo più efficace, non imponetemi una sola soluzione.”
Nel discorso dell’ex parlamentare aleggia un dubbio strutturale sull’origine delle politiche ambientali europee: sono dettate da criteri scientifici o da interessi economici? “La produzione di auto elettriche oggi ha un’emissione di CO₂ superiore rispetto a quelle termiche”, sottolinea. Un paradosso che, secondo Rinaldi, viene ignorato per favorire determinati settori industriali, a discapito della libertà di mercato e dell’equità concorrenziale. “Il vero Stato civile è quello dove ognuno propone soluzioni e il mercato decide. Non quello in cui una Commissione impone, sovvenziona, promuove e poi fallisce.”
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