31 anni. Il tempo passa inesorabile e non sempre riesce a cancellare le ferite. Nemmeno se si parla di una delle leggende più incredibili del calcio mondiale; uno che ha fatto innamorare ogni tifoseria per la quale abbia giocato; una vera e propria divinità del pallone come Roberto Baggio. Che ancora oggi, nonostante tutto, quel mancato Mondiale con l’Italia del 1994 lo porta addosso come un macigno.
Un dolore immenso, un senso di colpa fin troppo grande e ingiusto, per un calciatore, e soprattutto un uomo, che mai ha lesinato nel mostrare la sua classe e i suoi valori umani.
Se a Pasadena, tre decenni fa, la Nazionale italiana è arrivata a giocarsi la finale della Coppa del Mondo contro il Brasile, il merito è stato anche (se non soprattutto) suo. Gol decisivo agli ottavi su rigore contro la Nigeria; rete ai quarti contro la Spagna e doppietta decisiva in semifinale contro la Bulgaria. Cosa chiedere di più?
Non può essere un rigore sbagliato ad affossare la storia e la vita di un’icona come Roberto Baggio. “Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore” cantava De Gregori nel 1982, anticipando di 9 anni quel piccolo grande dramma sportivo.
Un’ingiustizia che ha sancito l’unico vero traguardo sfumato di una carriera bella e ricca di successi: quel Mondiale inseguito, sognato, ma mai abbracciato con la sua Italia (prima a Napoli nel 1990, e poi nel caldo torrido della California).
Caro Roby, quella palla alta maledetta ti avrà tolto un sogno, e forse un secondo e meritatissimo Pallone d’Oro. Ma il calcio non è fatto solo di queste cose. Non si può vincere sempre, e il fallimento è un concetto che nello sport esiste relativamente, forse per nulla. Sei stato in assoluto uno degli artisti più influenti e riconosciuti del pallone. E noi non potremo mai fare nulla per sdebitarci davvero per tutto quello che ci hai dato. L’Italia ti ha perdonato da tempo: ora è giusto che lo faccia anche tu.
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