Nasce il caso dei “ribelli” della maturità: criticato il sistema dei voti. Il commento dello psichiatra Paolo Crepet.
Nuovo trend estivo sbloccato: rifiutare l’esame di maturità. Questo è il nuovo fenomeno della generazione Z, che combatte il sistema dei voti, ma a due condizioni. La prima: accertarsi di entrare al colloquio con un minimo di 60 punti già guadagnati (crediti che arrivano dal percorso dei cinque anni e dagli esami scritti regolarmente sostenuti). La seconda: il compromesso con i professori, che nel caso della ribellione degli studenti, hanno chiesto agli alunni di rispondere “almeno a qualche domanda”, così da poter burocraticamente firmare le carte. Grazie a queste due condizioni la ribellione contro l’esame di Stato termina con: l’esame stesso sostenuto in forma “abbreviata” grazie al compromesso coi prof, il diploma consegnato e la notorietà consegnata dagli organi di stampa. Risonanza in continua crescita anche grazie alla politicizzazione dell’atto, dipinto prima o poi come atto di ribellione contro la scuola di Valditara, con il quale è poi nato il botta e risposta.
“Mi sembra abbastanza logico – dice il dott. Paolo Crepet in diretta – pensare che la scuola sia il mestiere del luogo dove si lavora per i giovani. Uno va in ufficio, va in banca, va in un negozio. Il figlio fa il lavoro di andare a scuola a fare quello che deve fare. Poi che ci si possa anche ammutinare, questo lo sappiamo dalla storia. Però poi se ne pagano le conseguenze, non nel senso che ci debba essere la repressione dell’ammutinamento, non lo sto pensando dal punto di vista del pensiero. Però bisogna anche capire che cosa si fa invece che fare un esame di maturità, invece che andare a scuola. Perché se poi il giochetto è: io non faccio questo, io non faccio quell’altro, alla fine non faccio niente, ma pretendo, beh questo è inaccettabile“.
Ascolta l’intervento integrale a Un Giorno Speciale.
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