L’Italia: paese di santi, poeti e navigatori… Senza lasciarsi andare eccessivamente al nazionalismo spicciolo, quanto genio e talento ha partorito la nostra penisola? In molti ambiti, è un dato di fatto: concediamoci un po’ di sano campanilismo, “Italians do it better“. E nel calcio, questo tipico motto inglese ha una valenza doppia, soprattutto se si parla dei Blues del Chelsea.
Il trionfo dei londinesi nella finale del Mondiale per Club, sotto la guida del salernitano Maresca, è solo l’ultimo momento simbolico di un connubio curioso e unico nel suo genere: quello fra i britannici e il calcio italiano.
Ma andiamo per ordine. E partiamo dalla cronaca.
13 luglio 2025 – MetLife Stadium di East Rutheford, New Jersey. Bastano i primi 45 minuti al Chelsea di Maresca per segnare 3 gol e chiudere clamorosamente la partita contro i strafavoriti del Paris Saint Germain. Doppietta di uno straordinario Cole Palmer e rete del K.O. siglata dal neo arrivato Joao Pedro: in una prima frazione in cui i parigini (per un’ ironica inversione dei ruoli) hanno ricordato l’atterrimento e la desolazione dei club che hanno umiliato negli ultimi mesi, su tutti Inter e Real Madrid. D’altronde, il calcio è bello anche per questo.
Ma ridurre questo risultato al mero fallimento dei francesi, sarebbe estremamente ingiusto nei confronti del Chelsea e del suo allenatore, che da quando è approdato a Stanford Bridge solo un anno fa, ha riportato a livelli altissimi una squadra sprofondata rovinosamente in una palude di mediocrità e soldi buttati.
Il prestigioso titolo mondiale arriva infatti a coronamento di una stagione in cui i londinesi avevano già vinto, “passeggiando incontrastati”, la UEFA Conference League (l’unico trofeo europeo mancante nella loro bacheca, a completamento di una collezione unica e prestigiosa). Oltre (e non è poco), ad essersi qualificati nuovamente alla Champions League.
E considerando le macerie in cui versava la squadra prima dell’ingaggio del tecnico ex Leicester, si tratta di un quadro quasi utopistico, inimmaginabile fino a soli pochi mesi fa.
Se poi si sposta lo sguardo indietro di qualche anno, la rinascita attuale assume un valore ancora più importante. Soprattutto perché, nel caso del Chelsea, non si tratta meramente di vicende confinate al rettangolo verde.
Quando nel febbraio del 2022 Vladimir Putin dà il via ufficialmente all’invasione russa dell’Ucraina, indirettamente è stata messa la parola fine a una delle parentesi più vincenti della storia del calcio: la presidenza di Roman Abramovich.
Dall’acquisto del club nel 2003, il suo impatto è stato dirompente sotto tutti i punti di vista. Economicamente, ha rappresentato il precursore di ciò che dopo di lui sono stati i vari sceicchi, spendendo nell’arco di un ventennio la bellezza di 2,3 miliardi di euro (ingaggiando quasi 500 calciatori). Sportivamente, come logica conseguenza, ha trasformato un club come il Chelsea in una delle potenze assolute del calcio mondiale, portando a casa 19 titoli iridati (5 Premier League, 5 FA Cup, 3 Coppe di Lega, 2 Community Shield, 2 UEFA Champions League e 2 UEFA Europa League).
Dunque, quando nel 2022 comincia la guerra in Ucraina, per i Blues la cessione forzata di Abramovich al gruppo del magnate statunitense Todd Boehly per 4 milardi di euro rappresenta a tutti gli effetti la fine di un’epoca.
Per il miliardario russo, in seguito alle sanzioni legate al conflitto (in particolare congelamento dei fondi della società), la vendita è stata l’unica opzione possibile. Al margine però, di un periodo storico in cui, tranne successi sporadici come la Coppa dei Campioni del 2021, già da tempo le cose andavano un po’ meno bene di prima.
Dal punto di vista finanziario, gli ultimi due anni della sua gestione sono stati i più dispendiosi in assoluto. Questo, però, non si è tramutato necessariamente in un’efficace patrimonializzazione del parco giocatori, anche soprattutto in termini di resa a lungo termine. Basta vedere la classifica globale degli acquisti più cari dell’era Abramovich. Dando un’occhiata ai nomi, il numero dei flop è decisamente troppo alto (Lukaku in primis, anche in termini di spese).
| Romelu Lukaku | 113 |
| Kai Havertz | 80 |
| Kepa Arrizabalaga | 80 |
| Alvaro Morata | 66 |
| Christian Pulisic | 64 |
| Fernando Torres | 58 |
| Jorginho | 57 |
| Timo Werner | 53 |
| Ben Chilwell | 50 |
| Mateo Kovacic | 45 |
Con i nuovi proprietari poi, la situazione non è particolarmente cambiata in tal senso, anzi. In soli 3 anni, hanno speso già più di quanto il russo abbia fatto in quasi 20 anni (1,3 miliardi di euro). Numeri folli, soprattutto in relazione al tempo trascorso e ai risultati raggiunti: cioè nessuno, almeno prima di quest’anno.
Dopo stagioni anonime e alcune in cui il club è stato persino escluso dalle posizione ‘europee’ della classifica, Enzo Maresca ha riportato il Chelsea in Champions League, e vinto i primi 2 titoli della nuova presidenza. Un risultato straordinario, trattandosi soprattutto di due titoli internazionali. Un lavoro meraviglioso; l’ennesimo capolavoro a tinte tricolori che ha contraddistinto la storia dei Blues.
Infatti, se si guarda al passato (anche più recente), gli esempi in questo senso sono davvero numerosi.
In campo, è facile ricordarsi degli anni di Gianfranco Zola: 59 reti in 229 presenze per il fantasista sardo fra il 1996 e il 2003. “Magic Box” contribuisce ad alcune delle vittorie più importanti del club nell’era pre-Abramovich: 2 FA Cup, 1 Coppa di Lega, 1 Coppa delle Coppe e 1 Supercoppa Europea. Davvero non male, per una parentesi storica in cui il suo non è stato l’unico apporto tricolore alle fortune del Chelsea, soprattutto parlando di alenatori. Vi suonano, per caso, nomi come quelli di Claudio Ranieri o Gianluca Vialli?
Gianluca Vialli approda al Chelsea nel 1996, in un momento cruciale per il club londinese, che inizia a guardare con ambizione al calcio europeo. Convinto da Ruud Gullit, sceglie di trasferirsi a Londra in quello che, per un calciatore italiano nel pieno della carriera, è ancora un passo inusuale. Al suo primo anno vince subito la FA Cup, riportando un trofeo a Stamford Bridge dopo oltre 25 anni di digiuno.
Nel febbraio 1998, dopo tensioni con lo stesso Gullit, viene promosso a player-coach. È la svolta. Vialli conquista in pochi mesi la Coppa di Lega e la prestigiosa Coppa delle Coppe, puntando tutto su compattezza e spirito di gruppo. L’anno seguente alza anche la Supercoppa UEFA contro il Real Madrid, raggiunge le semifinali di Coppa delle Coppe e chiude la Premier League al terzo posto, miglior risultato del club dal 1970.
Nel frattempo nel 1999 appende gli scarpini al chiodo e si dedica solo alla panchina. Porta il Chelsea per la prima volta in Champions League e lo guida fino ai quarti, dove viene battuto solo dal Barcellona ai supplementari. Nel 2000 vince anche la FA Cup contro l’Aston Villa e inizia la stagione seguente con un altro trofeo: la Charity Shield. In meno di tre anni mette in bacheca cinque titoli, diventando il tecnico più vincente della storia dei Blues fino a quel momento.
Il 16 settembre 2000, Claudio Ranieri sbarca a Londra per prendere in mano il Chelsea, chiamato a raccogliere l’eredità di Gianluca Vialli. Inizia così un percorso di ricostruzione paziente, spesso sottovalutato, ma fondamentale per il salto di qualità del club.
Nel 2002 porta la squadra in finale di FA Cup, poi persa contro l’Arsenal. L’anno dopo centra un traguardo cruciale: chiude la stagione 2002-2003 al quarto posto in Premier League, garantendo ai Blues la qualificazione alla Champions League — un passaggio determinante, che apre le porte all’ingresso del nuovo proprietario Roman Abramovič.
Ranieri resta in panchina fino al maggio 2004, totalizzando 199 partite ufficiali e ben 107 vittorie. Nella sua ultima stagione sfiora l’impresa: chiude secondo in campionato e porta il Chelsea fino alla semifinale di Champions, eliminato dal Monaco.
Durante la sua gestione, la stampa inglese lo etichetta ironicamente come “Tinkerman” (it. lo stagnino) il tecnico che cambia troppo, che “ripara tutto con pochi mezzi”. Eppure è proprio con quei “mezzi” che Ranieri costruisce le basi del Chelsea moderno, preparando il terreno a chi verrà dopo di lui.
Il 1º giugno 2009 Carlo Ancelotti diventa ufficialmente allenatore del Chelsea, accolto da grandi aspettative da parte del patron Roman Abramovič. Il debutto è subito vincente: il 9 agosto conquista il Community Shield, battendo il Manchester United ai rigori dopo un 2-2 nei tempi regolamentari.
La sua prima stagione è trionfale. Il Chelsea domina la Premier League e, il 9 maggio 2010, travolge il Wigan 8-0 a Stamford Bridge, conquistando il titolo con un record storico: 103 gol segnati, mai nessuno come lui nella storia del club. Sei giorni dopo, il 15 maggio, completa l’opera vincendo anche la FA Cup contro il Portsmouth. È il primo allenatore nella storia dei Blues a centrare il double campionato-coppa nazionale.
In Champions League, invece, esce agli ottavi contro l’Inter di Mourinho, una delusione rispetto agli obiettivi fissati dalla proprietà. La stagione successiva si chiude con il secondo posto in Premier e l’eliminazione ai quarti di Champions contro il Manchester United. Il 22 maggio 2011 viene esonerato. Ma a distanza di anni, è indubbio come l’attuale CT del Brasile abbia lasciato un’impronta importante: Ancelotti è stato infatti il primo tecnico italiano a vincere il campionato inglese, e uno dei pochi a riuscirci al debutto in Premier League.
Da calciatore è stato il terzo della triade composta insieme a Vialli e Zola, a cavallo fra i due millenni. Ma forse, è proprio da allenatore, e in soli 6 mesi, a essere davvero entrato nella storia del club.
Il 29 giugno 2011 entra nello staff tecnico dei Blues come vice di André Villas-Boas, ma il 4 marzo 2012 tutto cambia: dopo l’esonero del portoghese, Di Matteo viene promosso allenatore ad interim.
L’esordio è subito vincente: due giorni dopo batte il Birmingham City in FA Cup e la settimana seguente vince anche la sua prima partita in Premier League contro lo Stoke City. Il momento che lo consacra arriva però in Champions League: il 14 marzo guida la rimonta sul Napoli (da 1-3 a 4-1), poi elimina il Benfica nei quarti e compie l’impresa contro il Barcellona in semifinale, fermandolo 2-2 al Camp Nou dopo l’1-0 dell’andata.
Il 5 maggio 2012 conquista la FA Cup contro il Liverpool, ma è il 19 maggio a entrare nella leggenda: a Monaco, il Chelsea vince la prima Champions League della sua storia, battendo il Bayern ai rigori. Di Matteo diventa così il primo allenatore italiano a trionfare in Europa con un club non italiano.
Riconfermato in estate, viene esonerato pochi mesi dopo, il 21 novembre, in seguito a una pesante sconfitta con la Juventus. Ma nulla cancella quei sei mesi irripetibili: Di Matteo è e resta l’uomo di una delle notti più importanti nella storia del Chelsea.
ll 14 luglio 2016 Antonio Conte si insedia sulla panchina del Chelsea, portando con sé grinta, metodo e il suo inconfondibile 3-4-3. Parte forte: il 15 agosto debutta con una vittoria nel derby contro il West Ham per 2-1. La sua prima stagione è un capolavoro. Il 12 maggio 2017, con la vittoria per 1-0 sul West Bromwich, vince la Premier League con due turni d’anticipo, al primo colpo. È il quarto tecnico italiano a trionfare in Inghilterra, dopo Ancelotti, Mancini (con il Manchester City) e Ranieri (l’anno prima nel miracolo targato Leicester).
In quell’annata, Conte dà un’identità precisa alla squadra, risollevandola dopo una stagione deludente e riportandola al vertice con una striscia record di vittorie consecutive. Raggiunge anche la finale di FA Cup, ma viene sconfitto dall’Arsenal.
La seconda stagione è più complicata. Il Chelsea esce agli ottavi di Champions League contro il Barcellona, dopo aver superato un girone difficile con Roma e Atlético Madrid. In campionato chiude al quinto posto, mancando la qualificazione europea. L’ambiente si fa teso e i rapporti con la dirigenza si incrinano. Il 19 maggio 2018, Conte solleva comunque un ultimo trofeo: la FA Cup, battendo il Manchester United 1-0. Ma il 13 luglio viene esonerato.
Nonostante l’epilogo amaro, Conte lascia Stamford Bridge da campione, con una Premier vinta da protagonista assoluto. Oggi come allora, i campionati restano la sua specialità. Meno le competizioni europee…
Il 14 luglio 2018 Maurizio Sarri viene scelto come nuovo allenatore del Chelsea. Al suo fianco, due volti noti del calcio italiano: Gianfranco Zola e Luca Gotti. L’esordio ufficiale è amaro, con la sconfitta nel Community Shield contro il Manchester City di Guardiola. Ma l’approccio alla Premier League è brillante: l’11 agosto debutta con un netto 3-0 all’Huddersfield Town.
La stagione è altalenante nei risultati interni. Il Chelsea perde la finale di Coppa di Lega ai rigori ancora contro il City, e viene eliminato dalla FA Cup agli ottavi dal Manchester United. Ma è in Europa che Sarri trova il suo capolavoro.
Il 9 maggio 2019, battendo l’Eintracht Francoforte ai rigori dopo due pareggi, porta i Blues in finale di Europa League. Il 29 maggio, a Baku, firma una vittoria storica: 4-1 contro l’Arsenal nel derby europeo, conquistando il suo primo trofeo da allenatore professionista e regalando al Chelsea la seconda Europa League della sua storia. A 60 anni e 139 giorni, diventa anche il tecnico più anziano ad alzare il trofeo.
In campionato chiude al terzo posto, riportando il club in Champions League. Dopo una sola stagione, Sarri lascia Londra da vincente, avendo regalato al Chelsea una nuova notte europea da ricordare.
Il trionfo di ieri al Mondiale per Club, dunque, è solo l’ultimo di una lunga serie, figlia di un rapporto unico nel suo genere fra un club straniero e il nostro calcio. Il nostro è senza dubbio un auspicio; ma a a prescindere dalle nostre inevitabili simpatie, l’impressione è che il Chelsea, sotto la guida di Maresca, abbia finalmente intrapreso la strada giusta. E tanto in campionato come in Europa, i neo Campioni del Mondo saranno pronti a dire la loro.
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