Immaginate di svegliarvi una mattina e scoprire che ogni vostra conversazione, ogni messaggio privato, ogni immagine sul vostro telefono è stata letta, copiata, archiviata. Non da un ladro, non da un hacker improvvisato, ma da un sistema progettato per sorvegliare chiunque, ovunque. Questo non è solo il racconto di un thriller tecnologico: è la realtà che il caso Paragon ha portato alla luce in Italia e in Europa.
Il caso Paragon non riguarda solo la politica, né si riduce a una mera lotta tra governo e opposizione. È un campanello d’allarme per tutti noi, cittadini che ogni giorno affidano la propria vita privata a dispositivi che, proprio per la loro natura, sono diventati una porta spalancata sulla nostra intimità. Quando WhatsApp ha avvertito almeno 90 persone, tra giornalisti, attivisti e oppositori, di essere state prese di mira da spyware, il messaggio è stato chiaro: il problema non è chi viene sorvegliato, ma il fatto che la sorveglianza stessa sia diventata una possibilità concreta per chiunque.
Contengono foto, messaggi, dati bancari, conversazioni con amici e familiari, appunti di lavoro, ricordi. L’installazione di software come Graphite, capace di accedere a tutto questo in modo invisibile e senza il nostro consenso, rappresenta una violazione radicale della privacy, protetta dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’articolo 7 del GDPR. Non è più solo una questione di sicurezza nazionale o di conflitti politici: è una minaccia che grava su ogni singolo individuo che possiede uno smartphone.
La questione va ben oltre le possibili intrusioni del governo su cui si stanno concentrando i media italiani facendone una mera questione partitica. Ogni volta che un sistema di sorveglianza viene sviluppato e distribuito, si crea un precedente pericoloso: il mercato delle tecnologie di spionaggio è globale e non conosce confini morali. E se oggi il bersaglio è un giornalista, domani può essere chiunque: un imprenditore, un avvocato, un insegnante, un cittadino qualunque. Il rischio di autocensura, di paura di esprimersi liberamente, è concreto e mina le fondamenta della democrazia.
In questa battaglia, non siamo semplici spettatori. Siamo tutti potenziali vittime. “Non solo, esiste una categoria di persone che non può essere intercettata. Occorre un permesso delle camere”.
Di chi parla l’editorialista de La Verità Boni Castellane?
“I parlamentari, gli eletti della Repubblica, non possono essere intercettati in nessun modo. Tant’è vero che nelle vecchie intercettazioni che hanno costituito l’FBI i file che contenevano le parti intercettate dei parlamentari venivano distrutti”.
Nel video l’intervento a ‘Un Giorno Speciale’.
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