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Giovanni Brusca è ufficialmente libero per la legge voluta da Falcone, sua vittima

Mentre il suo carnefice stava “azionando il bottone” che ne causò la morte, il giudice Giovanni Falcone aveva già ispirato la legge che lo avrebbe liberato 33 anni dopo. Dallo scorso sabato Giovanni Brusca è ufficialmente libero, ma per evitare notizie che suscitano facili indignazioni, bisogna capire il funzionamento della legislazione che ne ha permesso il fine pena.

Il “curriculum” di Giovanni Brusca è infatti tristemente noto all’opinione pubblica: 150 omicidi ammessi apertamente da lui stesso, tra cui quelli di alcuni magistrati e figli di collaboratori di giustizia, per finire col famigerato pulsante di Capaci che, secondo le ricostruzioni, avrebbe azionato lui stesso uccidendo Falcone, la moglie e i tre agenti della scorta il 23 maggio 1992.
La lunga serie di azioni criminali che si susseguirono in quegli anni ne fece il latitante in assoluto più ricercato fino al 20 maggio 1996, quando fu arrestato a Cannatello, sancendo la fine della carriera criminale dello “scannacristiani”.

Da quel momento inizia un lungo percorso di collaborazione con la giustizia rimasto all’oscuro dei più. Non una redenzione per i delitti truculenti, ma un’azione pragmatica essenziale che ha permesso allo Stato di venire a conoscenza di dettagli cruciali sull’organizzazione corleonese.
Era l’intuizione di Falcone, un impianto legislativo che avrebbe permesso di sfruttare i collaboratori di giustizia con alcuni benefici penitenziari, l’idea che ha concesso la libertà a Giovanni Brusca, in regime vigilato dal 2021 come stabilito dalla Corte d’Appello di Milano.
Ma bando all’origine dell’intuizione – non certo trascurabile – quello che va valutato è cosa si è ottenuto.

Una carta preziosa

Sin dal momento della sua cattura, Brusca lasciò il silenzio omertoso dei clan, indossando la nuova veste – scomoda ma decisiva – del collaboratore di giustizia. E non fu certo una carta di poco conto: le sue dichiarazioni hanno fatto tremare le fondamenta di Cosa Nostra.
Tra le più scottanti, l’ex boss raccontò in dettaglio i retroscena della strage di Capaci e del brutale sequestro e assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo. Informazioni che aiutarono gli inquirenti a ricomporre, pezzo dopo pezzo, il mosaico del commando dei corleonesi guidati da Totò Riina, restituendo alla giustizia uno schema preciso e inconfutabile della macchina di morte mafiosa.
Non solo: Brusca spalancò le porte del patto oscuro tra mafia e politica, descrivendo le connessioni con il cuore della Democrazia Cristiana e raccontando il “salto di corrente” operato da Cosa Nostra negli anni Ottanta, quando Riina, in pieno Maxiprocesso, dirottò il sostegno elettorale verso il Partito Socialista. E, come se non bastasse, parlò anche dell’avvicinamento successivo a Forza Italia, rivelando incastri pericolosi tra voti e potere.
Fu inoltre il primo, tra i pentiti, ad accendere un faro sulla cosiddetta “Trattativa Stato-mafia“: una danza opaca tra legalità e crimine, avviata quando, dopo la morte di Falcone ma prima di quella di Borsellino, alcuni ufficiali del ROS fecero da intermediari con i boss, aprendo un canale che avrebbe segnato una delle pagine più controverse della storia italiana recente.

Sempre meno collaboratori

Sebbene la legge voluta da Falcone accenda tuttora dibattiti efferati (diversi leader politici attuali criticarono la scarcerazione di Brusca nel 2021), i benefici dell’utilizzo strategico dei pentiti rimangono insindacabili. Eppure anche questa strada presto potrebbe tramontare a causa di alcune sentenze recenti.

Il panorama giuridico italiano ha infatti subito un significativo mutamento riguardo alla concessione dei permessi premio ai detenuti condannati per reati di mafia e terrorismo, anche in assenza di collaborazione con la giustizia. Questa evoluzione è il risultato di importanti interventi della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti Umani, che hanno messo in discussione l’automatismo che negava tali benefici esclusivamente sulla base della mancata collaborazione.
Ad oggi, dunque, non parlare non esclude alcuni di quei benefici che fecero cantare Giovanni Brusca.

Alessio De Paolis

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