C’è qualcosa di surreale nella scena: Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, annuncia con enfasi che si recherà alle urne per i referendum dell’8 e 9 giugno, ma non ritirerà le schede. Un gesto che, più che una posizione politica, sembra una mossa da prestigiatore: esserci senza esserci, partecipare senza partecipare. Ed è proprio su questa ambiguità che Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, ha scatenato la sua offensiva sul referendum, accusando la premier di “prendere in giro gli italiani” e di temere la partecipazione popolare.
Durante le celebrazioni del 2 giugno, Meloni ha dichiarato: «Vado a votare ma non ritiro la scheda. È una delle opzioni». Tecnicamente, la legge lo consente: recarsi al seggio e rifiutare le schede è equiparato all’astensione, non si viene conteggiati tra i votanti e non si contribuisce al raggiungimento del quorum necessario per la validità del referendum. In questo modo, la premier evita di schierarsi apertamente su quesiti scomodi, ma contribuisce di fatto a far naufragare la consultazione.
Elly Schlein, dal canto suo, ha colto l’occasione per rilanciare la campagna referendaria, definendo quella di Meloni una “presa in giro” e un segnale di paura verso la partecipazione popolare. Secondo la segretaria dem, la scelta della premier sarebbe un tentativo di affossare i referendum senza assumersi la responsabilità di un voto contrario.
Ma qui vale la pena fermarsi e andare oltre la polemica di bandiera. Davvero non votare a un referendum è un atto antidemocratico, come suggerisce Schlein? La risposta è più complessa – e meno scontata – di quanto sembri.
Il referendum abrogativo, nella Costituzione italiana, non è un’elezione: non si tratta di scegliere chi ci governerà, ma se una legge debba essere cancellata o meno. Proprio per questo, la legge prevede un quorum: la consultazione è valida solo se vota la maggioranza degli aventi diritto. In questo meccanismo, anche i non votanti hanno un ruolo decisivo sull’esito finale. L’astensione, in altre parole, è una scelta legittima e prevista dall’ordinamento, non una violazione dei principi costituzionali.
Come ricorda Il Foglio, “l’appello esplicito alla non partecipazione al voto referendario può essere un errore tattico, ma non è una violazione dei principi costituzionali”. Anzi, la possibilità di non votare è parte integrante del modello di democrazia diretta disegnato dal legislatore: il quorum serve proprio a garantire che solo le questioni che mobilitano una larga fetta di cittadini abbiano la forza di cambiare la legge.
Se non votare non è antidemocratico, resta però un interrogativo più pungente: che democrazia è quella in cui i leader politici preferiscono sabotare la partecipazione piuttosto che confrontarsi apertamente sui contenuti? Invece di spiegare le ragioni del no, si invita a non votare; invece di assumersi la responsabilità di una posizione, si sceglie la tattica dell’ambiguità. Invece di spiegare perché votare, si scagliano sproloqui contro il nemico.
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