Quando ha affondato i tacchetti, anche soltanto per il riscaldamento, sul terreno del “Estadi Olímpic Lluís Companys” di Montjuic, l’Inter sapeva già di trovarsi di fronte a un bivio non soltanto stagionale, ma diremmo esistenziale, nella forbice sempre più ampia tra ciò che si pronosticava tre settimane fa e quello che è accaduto nel frattempo, quando nel castello dell’auto compiacimento nerazzurro hanno cominciato ad agitarsi gli spettri di Jovic, Orsolini, Soulé.
Pronti – via e l’Inter sorprende, forse anche se stessa, con la zampata di Thuram in…retromarcia, con tanto di telecamerina, quando il volto di Szczesny passa da imperturbabile a incredulo nel breve volgere di un colpo di tacco.
Vantaggio dovuto a un episodio, ma non episodico, perché i nerazzurri altro producono e un altro ne segnano, al minuto 21, con il raddoppio ritagliato dalla forbice di Dumfries.
In mezzo, l’identità di un Barcellona sorpreso ma non tramortito, che incassa senza smemorizzare lo spartito, che sa il copione e al tempo stesso consente ai singoli di recitare a soggetto: quando Yamal punta l’uomo lo smaterializza, quando Pedri lancia è sempre un ciak da “buona la prima”, spesso “di” prima.
Quattro gol e un destino a metà strada, dopo 45′ di un’Inter la cui efficacia è stemperata nell’ingenuità.
Senza Lautaro dal 46′ e poi con Dimarco che lascia il posto a Carlos Augusto, si cercano virtù nerazzurre in mezzo alle necessità, mentre il fraseggio del Barça è aperitivo delizioso che non trova in area il piatto forte.
L’Inter, in ogni caso, continua a dare l’impressione di starci con la testa e, ancora con Dumfries, di usarla anche per (ri)passare in vantaggio.
Increduli tanto per la spettacolarità degli episodi quanto per la traiettoria trovata da Raphina e subita da Sommer per il subitaneo 3 – 3, ci godiamo un finale di ricami blaugrana e orgoglio interista, con i padroni di casa che restano belli, a tratti bellissimi da vedere ma che non ottengono nessuna ipoteca sul cammino per la finale; anzi, nel computo di episodi e contenuti un paio di cose si possono dire e non sottovoce: forse all’Inter manca un rigore e per il fuorigioco di Mkhitaryan ci vuole il microscopio ma, soprattutto, eccetto qualche fiammata improvvisa negli ultimi minuti, a non vedere l’ora che finisse la partita alla fine è stato il Barcellona.
Paolo Marcacci
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