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Il ‘David’ di Michelangelo, l’Inter di Beppe Marotta

“La migliore in una serie di opere di un artista, di uno scrittore, o di un’età, di una scuola”. Definisce così, la Treccani, la parola capolavoro. La ‘Gioconda’ di da Vinci; il ‘David’ di Michelangelo; la ‘Notte stellata’ di Van Gogh. Ogni volta che nominiamo un capolavoro ci affianchiamo il nome del genio che l’ha consegnata alla storia e all’eternità. Di capolavori calcistici ne abbiamo collezionati a bizzeffe e, anche in questo caso, il nome dell’artista è sempre presente, la firma è sempre lì, impressa negli annali. I romantici, a questo punto, staranno già fantasticando: la rovesciata di Van Basten, la punizione di Roberto Carlos, il Leicester di Claudio Ranieri o il triplete di José Mourinho.
A ogni capolavoro della storia del calcio, il suo artefice.

Un attimo o una stagione intera, una partita o anni di lavoro. Non è stabilito quanto tempo serva per creare la propria opera d’arte. Istinto, o ingegno, follia o profondo raziocinio. Vale tutto, l’importante è il traguardo. L’avrà pensato anche Giuseppe Marotta il 13 Dicembre 2018, giorno in cui assume ufficialmente il ruolo di amministratore delegato per l’aria sportiva dell’Inter. Uno scoop, considerati gli otto anni di onorata carriera al fianco di Andrea Agnelli alla guida della Juventus. In Via della Liberazione fremono tutti, una società orfana di titoli dopo quel glorioso 2010 aspetta ansiosa uno dei dirigenti più vincenti della storia del calcio italiano. La strategia è chiara: Marotta per vincere, a tutti i costi

Gli inizi con Conte

Lo scultore sceglie i suoi scalpelli migliori per cominciare a dare forma a quello che potrebbe diventare il suo capolavoro e Marotta ha le idee ben chiare: si parte con Antonio Conte, si parte con una squadra costruita su misura. La prima stagione in neroazzurro si conclude al secondo posto con un solo punto di distacco dalla Juventus e con una finale di Europa League persa contro il Siviglia. L’anno successivo il campionato è vinto, l’avventura in Champions League è da archiviare.

La rivoluzione Inzaghi

Il rinascimento dell’Inter è appena cominciato, ma l’avventura di Antonio Conte è già giunta al termine. Intanto Marotta continua a scalpellare imperterrito il suo blocco di marmo, la sua opera comincia a prendere forma: Lukaku, acquistato per 74 milioni va al Chelsea per 115 milioni, Hakimi acquistato per 43 milioni vola al PSG per 63. Arrivano Dzeko, Darmian, Calhanoglu, Correa, Dumfries, Gosens per una cifra complessiva che si aggira intorno ai 25 milioni; ma, soprattutto, arriva Simone Inzaghi, il nuovo allenatore dell’Inter per la stagione 2021/2022. La squadra è stravolta e l’umore dei tifosi non è alle stelle. Dopo lo scudetto vinto, Marotta ha smantellato la premiata ditta Lukaku-Lautaro, ha portato ad Appiano una punta quasi in pensione come Dzeko e ha consegnato il timone della squadra a un Inzaghi ancora poco accreditato. Risultato? Secondo posto in campionato dopo una serratissima gara a due con il Milan e Coppa Italia vinta contro la Juventus.

La stagione successiva il Ds mette sul tavolo altri jolly cruciali: Lukaku ritorna a Milano, ma questa volta in prestito. Arrivano a titolo gratuito tre pilastri: Onana, Acerbi, Mkhitaryan. Gli ultimi due considerati, proprio come Dzeko l’anno precedente, prossimi alla pensione.
Non per Marotta che ci aveva visto più lungo di tutti: l’Inter, a stagione terminata, mette a registro una finale di Champions League conquistata, vinta per un pelo dal Manchester City.

La seconda stella e un derby speciale

Se chi semina raccoglie, per Giuseppe Marotta è arrivato il momento. Il capolavoro ha raggiunto l’apice della sua bellezza. La stagione 2023/2024 è quella della consacrazione definitiva: Onana, preso a titolo gratuito, via a 60 milioni. Arrivano Pavard per 30 milioni, Sommer per 6 milioni, Carlo Augusto in prestito, Davide Frattesi in prestito, Marko Arnautovic e, dulcis in fundo, Marcus Thuram a titolo gratuito. Sarà proprio quest’ultimo a riaffermare, ancora una volta, lo strapotere dirigenziale di Giuseppe Marotta. Il francese, arrivato in sordina, è diventato uno dei perni fondamentali della squadra guidata da Inzaghi, al fianco di tutti gli altri sottovalutati: Mkhitaryan, Di Marco, Acerbi, Darmian, Calhanoglu.

L’impresa è compiuta. La platea ammira il capolavoro di Giuseppe Marotta, la galleria lo acclama. Quel blocco di marmo si è trasformato in una scultura armoniosa, che sembra muoversi alla perfezione. Lo dimostrano i quattordici punti di vantaggio con cui l’Inter conclude la sua ascesa solitaria allo scudetto, lo dimostra la seconda stella arrivata nel giorno più speciale di tutti. Lo dimostra il valore assoluto di una squadra di sottovalutati, di parametri zero, di “pensionati”. Marotta è l’unico fuoriclasse di cui l’Inter aveva bisogno, è la boccata d’aria che una società a digiuno di titoli per otto anni anelava con tutta se stessa. La seconda stella è la medaglia al valore di un instancabile uomo di calcio e l’amore di un popolo è il giusto riconoscimento per un capolavoro cominciato nel 2018 e non ancora terminato.
Lasciatelo scalpellare.

FerdinandoPetrarulo

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