Il suo scudetto è il riconoscimento unanime da parte dei più grandi, alcuni dei quali grandissimi, che ha allenato. Carlo Mazzone ha attraversato decenni di calcio e di società italiana sullo sfondo, da quando alla radio venivano trasmessi soltanto i secondi tempi a quando le pay tv hanno preso piede e rivoluzionato il rito della giornata di campionato. Lungo una carriera dalla durata geologica, nel corso della quale ha conosciuto ogni latitudine della penisola, mietendo quasi sempre i risultati che gli venivano richiesti e ottenendo un rispetto duraturo oltre la durata dei suoi incarichi e contratti, Mazzone ha guidato gente del calibro di Giannini, Aldair, Balbo, Fonseca, Materazzi, Toni, Pirlo, solo per citarne alcuni; ha svezzato il primo Totti, custodito l’ultimo Baggio.
Uomo più di tuta che di cravatta, pur abitando un calcio già milionario e schizofrenico ha sempre normalizzato i contesti nei quali ha lavorato, avvicinando la gente a quel mondo nel frattempo divenuto sempre più distante: con i suoi modi, con la fedeltà a se stesso, persino col suo tono di voce.
A metà tra burbero e bonario, con la sua cultura del lavoro ha esemplificato la differenza tra l’essere seri, come è sempre stato, e l’essere seriosi, cosa che ha lasciato a tanti suoi colleghi più capaci di atteggiarsi a capi carismatici e spesso meno capaci di lui a lavorare sul campo.
Non era obbligatorio apprezzare in tutto e per tutto il suo calcio; è stato impossibile non voler bene al suo cuore.
Paolo Marcacci
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