Roberto Lachin è un judoka e podcaster (‘Motto podcast‘ è disponibile su tutte le piattaforme) non vedente. Lo scorso 1 ottobre ha ricevuto il Premio Internazionale Giuseppe Sciacca per lo sport e l’inclusione sociale presso la Pontificia Università Urbaniana, in Vaticano. Elena Travaglini, invece, è una ballerina, anch’ella non vedente, che ha dato vita a un nuovo approccio alla danza chiamato ‘blindly dancing‘, ‘danza al buio’. Insieme, hanno dato vita al progetto di ‘judo al buio‘. Obiettivo, sensibilizzare più persone possibili rispetto a questo tema e, più in generale, abbattere le barriere sociali all’inclusività.
“E’ stata un’emozione grandissima. Si tratta di un riconoscimento che vuole premiare i talenti in ogni campo dello scibile umano. Quando ho ricevuto il premio mi sembrava di essere tra gli Avangers”, racconta con orgoglio Roberto. Vicecampione italiano di judo in carica per la categoria 73 chili, si batte quotidianamente per una società più inclusiva.
L’incontro con Elena era quindi inevitabile. “Io sono un’insegnante di balli caraibici, ballo da tutta la vita. Quando con il mio partner di danza mi sono ritrovata ad affrontare competizioni di un certo calibro (come i campionati del mondo, che abbiamo vinto), abbiamo riscontrato delle difficoltà oggettive perché nella danza ci sono diversi giri, per esempio, quindi devi avere un buon controllo della pista e delle altre coppie che ballano accanto a te. Io poi non ho mai voluto gareggiare nella categoria paraolimpica perché mi sembra di gareggiare contro me stessa e se devo portarmi a casa una medaglia per non gareggiare contro nessuno, piuttosto non gareggio. Il mio partner ha voluto capire a livello tecnico e pratico se il fatto che io non vedessi potesse danneggiarci in qualche modo, quindi ha provato a bendarsi. Da lì, è nato piano piano il progetto di ‘danza al buio'”.
Un approccio, quello della ‘blindly dancing’, carico di un forte significato. “Il valore sociale di una cosa del genere è che la danza è, anzitutto, divertimento e aggregazione. Quando oltre al divertimento inserisci il passaggio dell’inclusività cambia tutto: perché solo un normodotato può ballare? Chi l’ha stabilito? In fondo, basta seguire la musica. Quello che ho notato è che c’è molto più rispetto dell’altro quando si bendano tutti perché sono interessati, per esempio, a non pestare i piedi all’altro”.
Da lì, l’idea di portare la ‘blindly dancing’ nel judo. Anche perché, come sottolinea Roberto, “nel judo non esistono grandi differenze tra un normodotato e un non vedente. L’idea è quella di bendare delle persone normovedenti per far conoscere loro questa realtà e permettere loro anche di superare determinate paure. E’ bello perché anche chi vede può entrare nel mio mondo fatto di oscurità”.
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