Oggi parliamo di quando l’oro era gratis e quando esisteva in terra un paradiso dei poveri. Perché i vecchi brasiliani ce lo hanno insegnato: se parlavano di Pelé si toglievano il cappello, ma se parlavano di Garrincha si asciugavano una lacrima. Alla fine chi dispensa gioia può accorgersi di essersene tenuta quasi nulla per se e non gli resta che arrendersi a contemplarla negli occhi degli altri. Vincere non è mai servito del tutto per scacciare tutti i demoni che il campione si porta dentro. Anzi, quei demoni lo hanno accompagnato sorridendogli più di prima.

Garrincha non ha mai saputo contare il denaro guadagnato. Chissà che se Mané si annoiava a far cadere quella finta sempre nella stessa parte, sapendo che sarebbe rimasta fissa nella retina del suo marcatore senza mai finirgli sui piedi che avrebbero continuato a scalciare solo l’aria. Qualsiasi ‘puttana’ gli spillava molti più soldi di quanti ne valesse la sua compagnia o di quanto valesse un giro di bevute. Quel giro che, sempre con lui al centro della scena, poteva prolungarsi fino all’alba. Sembra che fargli pagare una corsa in taxi 10 volte del valore reale era facilissimo. Aveva quella gamba più corta di 6 centimetri dell’altra così perfettamente arcuata per compensare lo squilibrio. Quella imperfezione in campo diventava arte pura.

Poi a zoppicargli addosso ci avrebbe pensato la vita che sapeva riuscire ad acciuffarlo. E’ come se quei calci l’esistenza glieli avrebbe mollati tutti nel fegato con gli interessi. Raccontano che Garrincha all’indomani della seconda Coppa del Mondo del 1962, vinta insieme al titolo di capocannoniere del torneo, avrebbe chiesto ai compagni contro chi dovevano giocare la prossima partita dopo la finale. Forse è solo una sentenza, ma chiunque l’ha ascoltata ha pensato che sarebbe potuto accadere sul serio dopo una sbronza Mondiale in tutti i sensi. Forse ci sono vite piene di ogni cosa per pretendere che queste possano contenere attimi di serenità. Pensare che Pelé e Garrincha in campo insieme non avrebbero mai perso una partita fino al 1966 è come dar ragione al parroco della canzone “Bocca di rosa” che portava a spasso in processione l’amore sacro e l’amor profano.

Tutti hanno tradito Garrincha tranne il calcio. Per questo motivo lui ha giocato fino a che ha potuto, addirittura qui alle porte di Roma dalle parti di Sacrofano. Sotto un ventre ormai troppo gonfio lui giocava ancora di prestigio su quella gamba e mezza che ha sempre avuto. Una volta passata la linea laterale il modo di zoppicare faceva pensare che avesse bisogno di un bastone. La notte del 20 gennaio 1983, anche a causa di un caldo insopportabile, due dottoresse fanno portare per il loro paziente una sedia a rotelle visto che ormai non gli riesce più neanche di deambulare. Chissà se da una di quelle finestre dell’ospedale il paziente riesce ancora a vedere le luci di Rio De Janeiro. I medici hanno lasciato detto alle due dottoresse di legarlo all’occorrenza se dovesse dare in escandescenza. Alle sei del mattino di quella giornata le luci di Rio si spengono per Garrincha. A 49 anni, probabilmente ne dimostra 20 di più, ne ha vissuti più di mille.