La percezione è nitida: Andrea Belotti è un acquisto che vale molto di più rispetto alla percezione che si ha, oggi, del suo utilizzo e e delle sue funzionalità all’interno del parco attaccanti romanista. Se già stasera ci dovesse essere un subentro, con annessa variante tattica da lui incarnata, si potrebbe capire la portata dell’impatto agonistico di un attaccante come lui con la “cornice” dell’esaltazione di un pubblico che lo aspettava perlomeno nella stessa misura in cui lui ha, a lungo e senza vacillamenti, atteso la Roma. Anche per questo c’è stata una sorta di fidelizzazione preventiva.
Al di là dell’entusiasmo ambientale, quando si parla di mera alternativa nel suo caso, bisognerebbe ricordarsi un po’ di particolari sparsi qui e là: la sua soglia agonistica sempre elevata, in nome della quale Mourinho lo aveva già fatto cercare ai tempi del Tottenham; la disponibilità al sacrificio e ad accompagnare un’altra punta, alternandosi nella centralità; il campionario di possibilità realizzative con l’area affollata e in partite bloccate e per così dire “stagnanti”. Senza contare la forte concentrazione di date e impegni in questa anomala stagione.
In più, due considerazioni che fanno da collante al discorso: per le caratteristiche temperamentali, si iscrive nel solco di quei giocatori sempre apprezzati dal pubblico della Roma (alla Ciccio Graziani, per capirci) e, deduzione consequenziale, può rappresentare un valore aggiunto come uomo – derby nelle stracittadine, il che non è un ragionamento provinciale ma una sfumatura ulteriore circa la sua compatibilità con l’habitat giallorosso, per così dire.
Comincia un’avventura tecnica e agonistica circa i cui esiti non possiamo dire nulla; possiamo però, come chiosa, fare un’osservazione: tra i numerosi acquisti condotti in porto quest’anno da Pinto, figura quasi come un ricco contorno delle portate principali; se si interpellano i tifosi, però, è uno di quelli che ha mosso i maggiori entusiasmi, forse il secondo dopo Dybala.
Paolo Marcacci
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