Secondo la folgorante profezia di Federico Nietzsche siamo entrati nel tempo della morte di Dio. Dio come punto di riferimento veritativo e valoriale è imploso. L’uomo contemporaneo non crede più in nulla, niente di grande in cui sperare e per cui morire, nessun ideale, nessuna proiezione redentiva verso le regioni dell’eterno. L’uomo contemporaneo è effettivamente l’attuazione piena dell’”Ultimo uomo”, così come fu teorizzato da Nietzsche stesso. L’ “Ultimo uomo” è quello sul cui profilo si staglia il senso del nulla, è quello sotto i cui piedi il mondo diventa ogni giorno più piccolo, più gretto. Un mondo all’insegna del nulla letteralmente, dove con la morte di Dio implode il seno stessa dell’essere al mondo.
Il paradosso della situazione che stiamo vivendo è che il nichilismo passivo e il nichilismo attivo coincidono nella loro compresenza contemporanea. A giudizio di Nietzsche, la morte di Dio avrebbe fatto scaturire nell’immediato un nichilismo passivo, rassegnato, depresso di chi senza più ordini e riferimenti si sente perduto. E da lì sarebbe poi rampollato il nichilismo attivo di chi dalla morte di Dio fa scaturire la volontà creatrice, la volontà di potenza e la posizione di nuovi valori. Ebbene, nel cosmo merciforme contemporaneo nichilismo attivo e nichilismo passivo coincidono, dacché sono espressione uguale e contraria del medesimo sentimento per cui per un verso si avverte un mondo disabitato da Dio e per un altro verso l’ “Ultimo uomo” diventa il superuomo a volontà di potenza consumistica illimitata che pensa letteralmente di poter fare tutto e di disporre di tutto in ragione della sua capacità di consumare ogni cosa.
Come rappresentato nella forma artisticamente più alta dei romanzi di Dostoevskij, l’uomo de-spiritualizzato contemporaneo ritiene che uccidere Dio sia condizione inaggirabile per farsi padrone e signore autonomo della propria storia. In particolare ritiene che morto Dio tutto diventa possibile e che morto Dio l’uomo stesso si innalzi a rango di nuovo Dio. E invece con una perversa eterogenesi dei fini la liberazione da Dio genera non già liberazione, affermazione della vita come pure credeva Nietzsche. Al contrario la liberazione da Dio produce pulsioni di morte, nichilismo passivo e assoggettamento all’impianto tecnocapitalistico. Quest’ultimo non ha bisogno di Dio, si afferma anzi negandolo. L’impianto tecnocapitalistico si fonda su quel fare illimitato senza più sacro e senza più tabù, senza più leggi e senza più interdizioni, funzionale alla volontà di potenza.
Come mostra tragicamente la notte del mondo calata dopo il 1989, l’uomo liberatosi di Dio si illude di essere soggetto assoluto della sua vicenda storica quando invero è disposto e totalmente amministrato dal tecnocapitale che si è innalzato a unico soggetto della storia umana. Così la soggettivazione dell’uomo moderno si compie nel processo di assoggettamento integrale all’impianto tecnocapitalistico. Diventa vero il teorema di Martin Heidegger secondo cui l’uomo è ormai divenuto un giocattolo nella mano della tecnica.
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