La pietra ruvida della compattezza cholista stratificata dietro la linea della palla; lo zero a zero è metafora del buio, con l’interruttore pigiato all’andata dalla rete di De Bruyne e l’entusiasmo del “Wanda Metropolitano” che si spegne soltanto dopo un recupero eterno di botte, minuti spezzati dalle malizie guardiolesche (sfioriamo il proibito non per l’aggettivo ma per il concetto), minacce e folate offensive condotte con la residua lucidità biancorossa, a metà tra orgoglio e disperazione; tra rammarichi e consensi che lo stadio di casa esibisce, quasi ostentandoli, verso Diego Simeone. Ognuno, del resto, possiede il proprio concetto di estetica, o sceglie di prescindere dal concetto stesso.
Di certo dal fondo della grotta che solo il risultato avrebbe potuto illuminare a giorno, una luce riusciva a lampeggiare, accompagnata da note di violino a ogni serpentina del numero sette colchonero, la cui eleganza abbinata alla rapidità d’esecuzione dà senso anche allo spartito più essenziale. Sempre in punta di scarpino, con il radar naturale perennemente acceso alla ricerca della zolla più strategica. Così, come se il fiore dell’eleganza fosse sbocciato tra le crepe del cemento.
Paolo Marcacci
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