La prima pagina de La Repubblica così titolava ieri mattina: “Un lockdown per ripartire”. Ciò che stupisce non è che il potere provi a imporre il suo dominio assoluto, semmai che ci sia puntualmente un gregge inerme disposto ad accettarlo. Perché gli uomini anziché battersi contro le proprie catene le difendono strenuamente?
Risulta davvero enigmatico comprendere come a distanza di un anno il logoro canovaccio della narrazione dominante possa ancora avere un seguito, essere creduto e accettato anche al netto della sua conclamata falsità.
Si tratta della vecchia e sempre pratica dell’asino e della carota: carota che coincide con la promessa di una liberazione a venire che sempre viene rimandata a domani e che sempre viene utilizzata per giustificare la servitù permanente.
Un titolo come quello prospettato da La Repubblica si sarebbe potuto accettare nel marzo 2020, ma com’è possibile che venga accettato in silenzio e di buon grado oggi a un anno di distanza? Davvero qualcuno non ha inteso che questa situazione è già a tutti gli effetti la nuova normalità? Davvero qualcuno non è in grado di intendere che la nuova forma del potere aspira a cronicizzare questo specifico paradigma di governo? Come si può davvero prestare fiducia a una narrativa che da un anno continua a proporre chiusure e riaperture senza realmente risolvere il problema al punto che oggi ci troviamo in una situazione analoga a quella di partenza?
Risulta davvero incomprensibile come il grado di ingiustizia e di violenza da parte del potere terapeutico che in altri tempi sarebbe bastato a scatenare rivoluzioni, sfoci oggi nell’apatia generalizzata o peggio ancora nell’apatia di chi con automatismo balordo ripete ‘stay home, save lives’.
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