“Si fissa per sempre la sua immagine trionfante nel nostro sguardo che vorrebbe abbassare il sipario sulla notizia; ce la restituisce, nitida, il ricordo di ogni sua impresa, di tutti gli istanti sospesi; come il grande corpo in volo, arrampicato su gradini d’aria”


Il campione non diviene leggenda quando si contano i suoi allori, o nel momento in cui viene aggiornato il conto delle sue vittorie, dei suoi record. Il campione esce dal solco del tempo che scorre e si prende il “sempre” degli indimenticabili quando si può pronunciare il suo nome in ogni angolo del pianeta, nella landa più desolata come al centro della più popolosa metropoli, avendo la certezza che qualsiasi bambino lo troverà familiare.

Kobe Bryant sarà per sempre uno dei più grandi giocatori NBA di tutti i tempi. Ha partecipato a 18 All-Star Game, mentre spendeva i venti anni della sua inimitabile carriera con i Los Angeles Lakers. Si è aggiudicato cinque campionati NBA, 2 MVP finali NBA ed è stato l’MVP della Regular Season del 2008. E’ stato incluso in quindici All-Star Team, in dodici squadre “All-Defensive Team” e ha guidato il campionato NBA per numero di punti segnati, per due stagioni. E’ il quarto marcatore di sempre nella storia della NBA. Ma tutto questo è stato “soltanto” il passaporto che gli è servito per approdare all’eternità cestistica. È diventato leggenda quando il suo nome ha cominciato a giocare a scacchi tra i meridiani e i paralleli del pianeta; quando la sua canottiera gialla e viola dei Lakers è divenuta un simulacro di grandezza che, indifferentemente, si poteva vedere addosso a un ragazzino lentigginoso di una cittadina scozzese, a uno nero a passeggio su qualche stradone di San Francisco, a un piccolo malese seduto sopra un elefante. 

Il nome degli dei dello sport diventa una sorta di esperanto, un linguaggio universale; reliquie più celebri di ogni religione le loro maglie, scarpe, i poster o la semplice ma inestimabile firma. Ecco perché il Campione, che nel frattempo si è guadagnato la maiuscola, può morire soltanto per poco tempo: solo per lo sgomento e l’incredulità della cronaca; solo per il cordoglio di migliaia di ammiratori pugnalati dalla notizia. Aveva già fissato la propria residenza presso la storia, il Campione, dove i suoi record lui ha fatto in tempo a salutare, dopo aver omaggiato il proprio successore.

Si fissa per sempre la sua immagine trionfante nel nostro sguardo che vorrebbe abbassare il sipario sulla notizia; ce la restituisce, nitida, il ricordo di ogni sua impresa, di tutti gli istanti sospesi; come il grande corpo in volo, arrampicato su gradini d’aria, tra il parquet e la reticella bianca che freme per ogni carezza da tre punti. Come se il Campione volesse prendere a schiaffi quelle nuvole grigie, di quei giorni sbagliati in cui persino il cielo va stretto ai giganti. 

Paolo Marcacci