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Spettacolo

Paolo Ruffini: “Quello che ho imparato dagli attori di Up&Down”

Il suo spettacolo teatrale “Up&Down” ha riscosso un grande successo, un viaggio professionale e umano che l’ha portato a raccogliere quell’esperienza in scena con gli attori della compagnia “Mayor von Frinzius” all’interno di un libro, recentemente pubblicato, “La sindrome di Up“. Paolo Ruffini, celebre attore e uomo di spettacolo a tutto tondo, ne ha parlato durante la diretta di “Sold Out” con Gianluca Cassandra.

In Up&Down abbiamo lavorato con persone che hanno la sindrome di down e persone che hanno varie disabilità” ha spiegato Ruffini, specificando che “non è uno spettacolo di beneficenza. Gli attori sono assolutamente pagati, come qualsiasi altro attore viene pagato a teatro“.

Le persone che hanno la disabilità oggi, più che sentirsi dire ‘poverino’, hanno bisogno di sentirsi dire ‘tu vali quanto me’. Quindi credo che anche nel mondo del lavoro e dello spettacolo non è che hai la possibilità di usufruire della forza-lavoro di un disabile senza poi dargli la giusta retribuzione” ha proseguito Ruffini “Penso che sia giusto e doveroso perché loro, che sono attori, siano degli attori come chiunque. Abbiamo fatto uno spettacolo commerciale che tratta, appunto, il tema della felicità. Chi frequenta e persone con sindrome di down sa, che loro hanno una confidenza con la felicità, che molto spesso agli altri manca“.

Riguardo, invece, all’incipit del suo libro, scritto sotto forma di diario e presentato oggi alla Feltrinelli di via Appia Nuova, e agli atteggiamenti adottati dalle persone, l’artista ha detto che “ti accorgi fondamentalmente che ci sono tante persone ‘in down’ che non sono down. Io, che ho avuto l’opportunità di lavorare con persone con la sindrome di down, mi sono accorto che loro, per esempio, puntano molto sull’abbraccio. Un sistema che noi, che abbiamo quel cromosoma in meno, non ne gioviamo così tanto, e che quindi hanno la possibilità di avere un sorriso molto più sincero rispetto a tante altre persone che si pregiano di essere normali“.

Tengo molto di più il cellulare in tasca quando sto con loro. Magari controlli meno i follower, ma ti accorgi che esistono le nuvole. Passi dall’essere social all’essere sociale. Quello che ho imparato da loro è la sensazione di non correre troppo e poi di concedersi una piccola ventata di umanità” ha detto in chiusura Paolo Ruffini.

Redazione

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