La partita tra Liverpool e Juventus non si doveva giocare in quello stadio. Da qui si deve partire per ricordare la tragica notte del 29 maggio del 1985. Persero la vita trentanove persone. Persone, non tifosi della Juventus, come la parte peggiore del teppismo da stadio ama ricordare con cori e striscioni.
L’Heysel e la famigerata curva “Z”, la curva della morte in diretta. Era riservata ai locali, ma ci si ritrovarono gli italiani, per via di un’agenzia senza scrupoli. In quel settore non un vero ingresso, ma una porticina.
E i poliziotti? Un centinaio in tutto, come a proteggere una scampagnata. Quaranta in curva, ma ventotto presto fuori per cercare l’autore di un furtarello. Tra italiani e inglesi solo una rete: non una divisione, ma un invito a passare dall’altra parte.
Forse furono due italiani a dar fuoco a una bandiera del Liverpool, ma non basta a spiegare la tragedia. Gli inglesi divennero una valanga che travolse famiglie, padri, bambini. Tra gli inglesi, si seppe poi, anche attivisti del National Front in trasferta non disinteressata.
Fu un massacro. Travolti, gli italiani cercarono rifugio in un muro, ma cadde. Si spinsero verso il campo e vennero fermati da poliziotti che non avevano capito niente: bruciava il mondo e loro spegnevano un cerino.
Roberto Lorentini era un medico di Arezzo di trentuno anni. Aveva trovato una via di uscita, ma si fermò. Un bambino, Andrea, lo fissava da terra e il suo sguardo era una muta richiesta di aiuto. Roberto e Andrea morirono insieme. È Roberto l’eroe di quella maledetta notte. Ricordiamo lui, tutti gli altri.
Io piango ancora.
Roberto Renga
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